Estorsioni, droga e sangue: la strada che è pronto a scegliere Sandokan jr

Con il padre collaboratore di giustizia se vorrà ricostituire il clan potrà farlo solo con azioni violente

Emanuele Libero, Francesco "Sandokan" e Ivanhoe Schiavone
Emanuele Libero, Francesco "Sandokan" e Ivanhoe Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Aveva detto no al programma di protezione già nel 2018, quando era stato il fratello maggiore, Nicola, a decidere di collaborare con la giustizia. Emanuele Libero Schiavone ha ribadito quel no anche il mese scorso, quando in carcere (dovrebbe lasciarlo nei prossimi giorni) gli agenti del Servizio centrale di protezione glielo hanno nuovamente offerto in seguito alla decisione del padre, capo del clan dei Casalesi, di iniziare a parlare con i magistrati dell’Antimafia: il figlio di Francesco Schiavone Sandokan non vuole recidere i propri legami con la mafia dell’Agro aversano. Resterà a Casale, insieme al fratello Ivanhoe, nella casa di via Bologna, aspettando la scarcerazione di Carminotto (il terzogenito del boss neo pentito).

L’attesa

L’attività investigativa finora svolta dagli agenti della Squadra mobile di Caserta e dai carabinieri ha documentato come chi ancora orbita intorno alla cosca Schiavone ora sia in trepidante attesa proprio della scarcerazione del rampollo. E a rafforzare questa tesi è stato Ivanhoe, il più piccolo di casa Sandokan, che, in varie occasioni, ha detto ad amici e affiliati che con Emanuele Libero fuori dalla cella, il gruppo mafioso, che ora sostanzialmente bivacca, si sarebbe ripreso. Insomma, uno scenario non troppo incoraggiante.

Le telefonate

Altro elemento che preoccupa gli investigatori: in questi anni, sarebbe stato direttamente Emanuele Libero a prepararsi il terreno in occasione del proprio ritorno a Casal di Principe sfruttando i cellulari che circolano nelle prigioni.

Gli effetti del pentimento

Il pentimento del genitore ha inevitabilmente complicato i presunti piani di rivalsa criminale di Emanuele Libero. Per quale ragione? Perché è una collaborazione con la giustizia che inciderà soprattutto sull’aspetto economico della compagine mafiosa. Se è stato già Nicola Schiavone ad elencare alla Dda una schiera di imprenditori e politici finora non toccati (o solo sfiorati) dalle inchieste, con Sandokan gli inquirenti avranno in mano un ulteriore riscontro a quelle dichiarazioni e probabilmente accederanno pure a un livello di informazioni finora insperato: insomma, avranno materiale sufficiente per trascinare insospettabili (più o meno) colletti bianchi collusi davanti a un giudice. E così il pentimento di Francesco Schiavone oltre a demolire il clan dei Casalesi mediaticamente (il capo che sventola bandiera bianca demotiva non solo la base, ma anche gli altri uomini di vertice del clan), metterà in condizioni l’Antimafia di andare ad interrompere (almeno potrà provarci) i flussi economici che ancora alimentavano gli Schiavone.

Pericolo violenza

Emanuele Libero se, come si ipotizza, avrà intenzione di ricostituire il gruppo mafioso, dovrà farlo senza lo scudo del genitore e con la consapevolezza di doversi confrontare con una costante riduzione di quegli introiti che storicamente tenevano in vita la cosca (ma che erano iniziati a calare già nel 2018, con il pentimento di Nicola). Un contesto del genere porrà Emanuele Libero, se davvero ha in testa idee bellicose, di fronte a scelte obbligate: per rinvigorire il gruppo dovrà dedicarsi alle estorsioni, allo spaccio di droga e alle truffe. E dovrà pure condire queste azioni con punte di violenza (con lo scopo di riottenere credibilità criminale). E sullo sfondo, a complicare il tutto, c’è un potenziale scontro con chi in questo periodo, sfruttando la debolezza degli Schiavone, aveva iniziato a mettersi in proprio. Ci riferiamo al gruppo dei sanciprianesi che Emilio Martinelli, finito cautelarmente in cella l’anno scorso con l’accusa di mafia, aveva iniziato a guidare dopo l’arresto di Oreste Reccia.

Uno potenziale scenario a tinte a dir poco fosche, ma noto agli investigatori che, fortunatamente, già si sono messi al lavoro per evitare che questa situazione incandescente possa far ripiombare l’Agro aversani in un passato tragico che sembrava ormai superato.

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