Estorsioni in nome del clan dei Casalesi, in 22 rischiano il processo

Tredici le richieste di pizzo contestate. Le vittime taglieggiate tra il 2017 e il 2018

S. CIPRIANO D’AVERSA – Estorsioni in nome del clan dei Casalesi, 22 rischiano il processo. Si tratta di Antonio Barbato, 47 anni, di Cesa; Vincenzo Chiarolanza, 61 anni, di Villa Literno; Giovanni Improda, 50 anni, di Teverola; Antonio De Luca, 46 anni, e Mario De Luca, 54 anni, entrambi di San Cipriano d’Aversa; Mario Raffaele De Luca, 42 anni, di Casal di Principe; Antonio Chiacchio, 42 anni, di Teverola; Carmine Lucca, 53 anni, di San Marcellino; Antonio Palumbo, 36 anni, di Cancello Arnone; Alessandro Pavone, 36 anni, di Casale; Felicia Dello Margio, 48 anni, di Teverola; Nicola Di Bona, 54 anni, di Castelvolturno; Carlo Del Vecchio, 66 anni, di Falciano del Massimo; Giacomo Terracciano, 62 anni, e Umberto Loreto, 54 anni, residenti ad Afragola; Mario Curtiello, 41 anni; Gennaro Celentano, 39 anni; Sergio Inanicelli, 31 anni; e Nunzio Chiarillo, 77 anni, tutti di Sant’Antimo; Daniele Coronella, 50 anni, di Casal di Principe; Camillo Belforte, 28 anni, e Achille Piccolo, 48 anni, entrambi di Marcianise. I magistrati Luigi Landolfi e Vincenzo Ranieri, nelle scorse ore, hanno notificato loro l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e ora valuteranno se avanzare o meno la richiesta di rinvio a giudizio (Dello Margio non risponde di estorsione, ma in concorso con Improda di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone). L’inchiesta ha documentato 13 episodi estorsivi ai danni di negozianti e imprenditori, con attività a Teverola, Castelvolturno, Marcianise e San Cipriano d’Aversa, verificatisi tra il 2017 e il 2018. Il lavoro degli investigatori ha anche rivelato come, in un caso, per recuperare indebitamente una caparra che un imprenditore aveva versato in relazione all’acquisto di un capannone industriale a Marcianise, avrebbero agito insieme personaggi ritenuti vicini al clan dei Casalesi e al gruppo Belforte.

L’imprenditore che voleva riavere il denaro dato (mezzo milione di euro) sarebbe, secondo gli inquirenti, Terracciano, amministratore della Teca. Quest’ultimo si sarebbe rivolto, tramite Chiariello, a Improda e a Mario De Luca. E i due, dice la Dda, si misero effettivamente alla ricerca dell’uomo che aveva preso la caparra, collaborando per raggiungere l’obiettivo con Camillo Belforte e Daniele Coronella. Stando alla tesi dell’Antimafia, De Luca e Belforte riuscirono a portare la vittima al cospetto del boss Achille Piccolo, esponente del clan dei Quaqquaroni, con base a Marcianise, e quest’ultimo gli avrebbe detto che era meglio “pagare il denaro che doveva, perché in caso contrario si sarebbero impossessati del capannone”. Nel collegio difensivo dei 22 indagati (da ritenere innocenti fin a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile) ci sono gli avvocati Giuseppe D’Alise, Nicola Musone, Fabio Russo, Giovanni Pizzo, Mirella Baldascino, Agostino D’Alterio, Luciano Fabozzi, Agostino Di Santo, Ferdinando Letizia, Bernardo Diana, Alessandro Diana, Viviana D’Arbitrio, Raffaele De Rosa e Giovanni Cantelli.

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