MILANO – La Brexit ha sconvolto l’Unione europea ma non cambia l’Europarlamento, almeno all’inizio. Nonostante il “promesso” divorzio del Regno Unito dall’Unione europea, il fatto che il Parlamento di Londra non sia stato in grado di approvare prima delle europee l’accordo sulla rottura siglato dalla premier Theresa May con Bruxelles ha causato (oltre al caos politico oltremanica) un doppio rinvio della data della separazione. Dall’iniziale 29 marzo 2019 si è passati prima al 12 aprile, poi al più lontano 31 ottobre.
Gli effetti del rinvio Brexit sul Regno Unito
La prima conseguenza è stata che il Regno Unito deve partecipare a pieno titolo alle europee assieme agli altri 28 membri del blocco comunitario. Lo ha fatto il 23 maggio, primo Paese alle urne assieme all’Olanda. Per evitarlo avrebbe dovuto ratificare l’intesa per il ritiro entro il 22 maggio, invece Westminster l’ha bocciata per tre volte.
Regno Unito al voto
Se avesse scelto di non partecipare alle europee (come chiedevano alcuni conservatori), il Regno Unito avrebbe dovuto lasciare l’Ue senza accordo, nello scenario più temuto dal mondo di affari e imprese. Il governo della conservatrice May, determinato a rispettare l’esito pro-Brexit del referendum del 2016, ha condotto vari tentativi di spezzare l’impasse legata all’assenza di appoggio dei deputati. Cercando anche un compromesso tramite colloqui diretti fra May e il leader del Labour, Jeremy Corbyn, poi finiti in un nulla di fatto.
Gli scenari possibili
Resta la debole speranza, a Downing Street, che grazie all’approvazione dell’intesa i suoi eurodeputati eletti non s’insedino il 2 luglio. Oppure che ricoprano il loro incarico per un paio di settimane soltanto. Il Regno Unito è diviso in 12 circoscrizioni, che eleggono ciascuno fra tre e 10 deputati, in base alla dimensione dell’elettorato. Il Paese ha in tutto 73 seggi nell’aula composta da 751 deputati a Strasburgo (lo stesso numero dell’Italia), secondo una distribuzione proporzionale alla popolazione. Dopo la Brexit, il numero dei rappresentanti si abbasserà a 705.
L’assetto dell’Eurocamera
Quelli rimasti ‘vacanti’ saranno in parte redistribuiti ad altre nazioni europee. Sono 27 quelli che dovrebbero essere riassegnati tra 14 Paesi leggermente sottorappresentati; all’Italia andrebbero tre seggi (da 73 a 76), alla Francia e alla Spagna cinque, all’Olanda tre. Quarantasei seggi sarebbero invece ‘congelati’, in modo che possano essere riassegnati a nuovi Paesi che aderiranno all’Ue in futuro. Sarà il nuovo Parlamento a ratificare l’intesa sulla Brexit, se questa arriverà da Londra dopo il 2 luglio.
Nell’Eurocamera uscente eletta nel 2014, tra i 73 deputati britannici i pro-Brexit sono la maggioranza: vi si contano i 24 membri dell’Ukip allora guidata da Nigel Farage (eurodeputato dal 1999) e buona parte dei 18 Tory. I primi si sono poi dispersi: alcuni sono rimasti nel secessionista Partito per l’Indipendenza ora capeggiato da Gerard Batten, altri hanno seguito Farage nel nuovo Brexit Party. Partito euroscettico che, secondo i sondaggi, ha avuto il vento in poppa in queste elezioni (ricordando che, almeno nei dati, la maggioranza della popolazione britannica è euroscettica: il 56% ha votato per il divorzio, nel referendum di tre anni fa).
Clima di tensione tra Tory e Labour
A gonfiare le sue vele contribuisce la rabbia nei confronti dei Tory al governo e verso il Labour all’opposizione. Sentimento che potrebbe spingere i britannici a scegliere due nuovi schieramenti: per l’appunto gli eurofobici di Farage e i centristi europeisti di Change Uk. Secondo i sondaggi di domenica 19 maggio Opinium per Observer e ComRes per Sunday Telegraph, il Brexit Party otterrà di nuovo il maggior numero di voti con previsione tra 27% e 34%, mentre il Labour avrebbe fra 21% e 25%, i Tory tra 11% e 13%. Per inciso, il partito di Farage è avanti nei sondaggi anche in caso di legislative anticipate (un incubo per i conservatori, già sconfitti alle elezioni locali).
(LaPresse/di Agnese Gazzera)