MILANO – Senza scudo penale, ArcelorMittal non ha intenzione di rimanere a Taranto e tenere aperta l’ex Ilva. È questo il messaggio che il gruppo franco-indiano, tramite i suoi legali, ribadisce in una memoria depositata in Tribunale a Milano sabato. Con la quale respinge punto per punto i rilievi mossi dai legali degli ex commissari e dalla Procura. Prima tra tutti l’accusa di aver depauperato le risorse dell’acciaieria e “depredato il magazzino” dell’ex Ilva. Una mossa attesa, quella dei franco-indiani, in vista della prossima udienza, fissata per il 7 febbraio davanti al giudice Claudio Marangoni. Udienza che, tuttavia, potrebbe slittare se le parti, impegnate da giorni in un’intensa trattativa sotto lo sguardo vigile del governo, dovessero chiedere più tempo nel tentativo di raggiungere un accordo.
La linea di ArcelorMittal
Nel frattempo, ArcelorMittal nel documento di 67 pagine insiste nel rivendicare il recesso dal contratto di affitto dell’ex Ilva sottoscritto nel novembre 2018. La ragione? L’amministrazione straordinaria, scrivono, avrebbe taciuto le vere condizioni dell’acciaieria e soprattutto senza “protezione legale” nè l’attività industriale può svolgersi regolarmente, nè il piano ambientale può essere implementato. In sostanza, per ArcelorMittal, se la situazione non dovesse sbloccarsi in tempi brevi, l’unica soluzione possibile sarà quella di lasciare l’Italia.
L’abrogazione dello scudo penale
Il tema dell’abrogazione dello scudo penale è centrale nella decisione di dire addio a Taranto. Affermare che Am Investco, società veicolo del gruppo franco-indiano, non si sia “nel passato mai veramente preoccupata” della “permanenza” della protezione legale è assurdo e contrario a buona fede”, sottolineano i legali. Lo dimostrerrebbe il fatto che oltre 7 mesi prima di inviare la lettera del recesso ArcelorMittal ha pubblicamente comunicato che l’eventuale eliminazione della protezione legale avrebbe avuto un “impatto dirompente sul contratto”. Impedendole “di proseguire l’attività produttiva” e l’avrebbe legittimata “a esperire alcuni rimedi contrattuali e legali, incluso l’esercizio del diritto di recesso”. “Dopo innumerevoli giri di valzer – si legge ancora nella memoria – le ricorrenti… non escogitano nulla di meglio che aggrapparsi alla solita ciambella sgonfia della ‘inutilità’ dello scudo penale quale ‘doppione’ dell’esimente ex art. 51 c.p.”.
Il nodo ex Ilva
“Chiariamo per l’ennesima volta – rilevano gli avvocati – che la protezione legale”, lo “scudo” abolito lo scorso anno da un nuovo decreto legge in fase di conversione, “non aveva, nè poteva avere, a oggetto soltanto l’attività intrinsecamente attuativa del solo piano ambientale. Ma anche e soprattutto l’attività produttiva che doveva e dovrebbe svolgersi contestualmente”. “Come si fa seriamente a sostenere che la protezione legale sarebbe inutile o irrilevante per l’attività produttiva se anche nei giorni scorsi la Procura della Repubblica di Taranto ha chiesto di non procedere per tre fascicoli di indagine aperti negli anni scorsi” per disastro ambientale, inquinamento dell’acqua e dell’aria “proprio perché era in vigore tale protezione all’epoca dei fatti”, sottolineano i legali. Chiarendo che “tali procedimenti avevano a oggetto ipotesi di reato intimamente connesse alle obbligazioni contrattuali” del gruppo franco-indiano.
Impossibile restare a Taranto
L’unica strada percorribile, dunque, per ArcelorMittal è quella di togliere le tende da Taranto. Il gruppo, “andando ben oltre i propri obblighi contrattuali, sarebbe disposto a concordare le modalità per garantire la più agevole restituzione dei rami di azienda e venire incontro alle esigenze di Ilva”. Che invece “si è limitata a opporre il proprio pervicace rifiuto a riprendere la gestione”.
Infine, “quand’anche il temporaneo spegnimento degli impianti avesse qualche ripercussione – concludono i legali -, non sussiste alcun elemento idoneo a dimostrare un ‘pericolo imminente e irreparabile’ per lo stabilimento che giustifichi l’intervento cautelare ex art. 700 c.p.c”, presentato dai commissari dell’ex Ilva nel tentativo di bloccare la ‘defezione’ dei franco-indiani. Si osserva, infine, che “i lamentati rallentamenti della capacità produttiva sono dipesi da fattori indipendenti dalla volontà di ArcelorMittal. Fra cui le vicende relative all’altoforno 2 e il generale andamento del ciclico mercato dell’acciaio e le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime conseguenti al sequestro del molo 4”.
(LaPresse)