ROMA – Dopo un (breve) periodo di pace armata Confindustria torna ad attaccare il governo. La goccia che fa traboccare il vaso è la gestione del dossier ex Ilva, ma gli industriali italiani non digeriscono neanche la manovra in cantiere.
Dalla plastic alla sugar tax, passando per la confisca dei beni agli evasori prima delle sentenze definitive, sono tanti i sassolini che il presidente Vincenzo Boccia dovrà togliersi dalla scarpa lunedì, quando sarà audito dalle commissioni Bilancio delle Camere. “Diremo tutte le cose che non ci piacciono”, promette. La misura è “prociclica”, spiega, e non solo non aiuta le imprese. Ma addirittura le danneggia: “la redistribuzione la si fa a tutela dei fattori di produzione, non contro”.
Il momento è “delicato” e l’industriale non trova altro termine per spiegare quanto sia preoccupato per i 20mila lavoratori diretti e indiretti dell’Ex Ilva che rischiano il posto di lavoro con il passo indietro di Arcelor Mittal. Una stima delle conseguenze non c’è, “non ci voglio neanche pensare”. È visibilmente scosso e non ha dubbi: la responsabilità è della politica ed è la politica, ora, che deve rimediare al danno provocato. Confindustria aveva messo in guardia da tempo l’esecutivo perché valutasse con attenzione gli effetti dei provvedimenti sull’economia reale e sulla società: “Non si possono fare provvedimenti prescindendo da questi effetti. Altrimenti gli investitori internazionali si spaventano e scappano dal paese. E questa è la morale”.
Sull’ipotesi di una nuova cordata per salvare lo stabilimento è scettico: “Non so quando la si trova e chi paga tutti questi lavoratori. Il problema è chi paga. C’è qualcuno in questo paese che prescinde dalle risorse, a meno che non voglia battere moneta e pagare direttamente da solo”.
La speranza è che si arrivi a una soluzione. Fatto questo, il governo dovrà “ripartire” dalla cultura del lavoro. Perché in un Mezzogiorno in recessione il primo obiettivo “dovrebbe essere l’incremento e la tutela dell’occupazione”. “Su questo invochiamo buonsenso – insiste – Se si tira troppo la corda e si fanno scappare gli investitori non c’è solo un danno per il territorio e la siderurgia, ma anche per l’immagine del Paese, che invece di attrarre investitori li fa scappare”.
(LaPresse)