MILANO – Per anni Facebook avrebbe concesso ad alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo un accesso ai dati personali degli utenti molto più invasivo di quanto il social network abbia mai ammesso. I giganti dell’high tech sarebbero stati di fatto esentati dalle regole standerd sulla privacy. Lo ha denunciato il New York Times, sulla base di documenti interni e interviste. Il quotidiano ha ottenuto così prove che dimostrano che Facebook ha condiviso i dati con oltre 150 aziende. La maggior parte delle quali sono aziende tecnologiche, ma anche case automobilistiche e media. Tra le altre cose, Facebook avrebbe permesso al motore di ricerca Bing di Microsoft di vedere i nomi di tutti gli amici degli utenti di Facebook , avrebbe dato a Netflix e Spotify la possibilità di leggere i messaggi privati. Avrebbe inoltre permesso ad Amazon di ottenere informazioni di contatto degli utenti attraverso i loro amici.
le conseguenze dell’inchiesta
Il nuovo scandalo ha suscitato la condanna di Altroconsumo, che ha reso noto di aver scritto “al Garante per la protezione dati personali chiedendo che si faccia luce sull’eventuale condivisione di dati degli utenti da parte di Facebook con partner commerciali tra i quali Amazon, Microsoft, Apple, Spotify e Netflix, senza adeguata informazione verso i consumatori su modalità e finalità di utilizzo”. L’associazione “ha scritto alle società citate nell’indagine per chiedere chiarimenti sugli italiani coinvolti e sul persistere di pratiche illecite di condivisione dati con Fb. È il modello di business in discussione, non si tratta più di singole falle, né di comportamenti inaccurati”, si legge in una nota. Continua intanto la class action che l’organizzazione sta portando avanti insieme alle altre organizzazioni di consumatori europee. In Italia già quasi 50mila aderenti, oltre 170mila a livello europeo. La prima udienza dell’azione risarcitoria è prevista a maggio 2019.
LaPresse