ANCONA – Una tragedia annunciata, un’altra vita spezzata da una furia che il sistema giudiziario aveva già intercettato, ma non è riuscito a fermare in tempo. Si attendono per questa settimana i risultati dell’autopsia sul corpo di Sadjide Muslija, l’operaia cinquantenne massacrata a colpi di spranga nella sua abitazione di Pianello Vallesina. L’esame, che verrà eseguito presso l’istituto di Medicina legale dell’ospedale regionale di Torrette, dovrà chiarire i dettagli di un omicidio brutale, consumato con ogni probabilità mentre la donna dormiva, ignara e indifesa. La violenza dei colpi le ha fracassato il cranio, non lasciandole scampo.
Nel carcere di Montacuto, intanto, resta rinchiuso il marito, Nazif, falegname cinquantenne, sul quale pende la pesantissima accusa di omicidio volontario aggravato. L’uomo, dopo una breve fuga, è stato rintracciato e fermato dai Carabinieri in un bosco del Maceratese, dove avrebbe tentato di togliersi la vita, sopraffatto dal gesto compiuto. Con la convalida del fermo da parte del gip di Macerata, competente per il luogo del ritrovamento, il fascicolo è ora passato integralmente nelle mani della procura di Ancona, che coordina le indagini.
Gli inquirenti potranno così procedere non solo con l’esame autoptico, fondamentale per la ricostruzione della dinamica, ma anche con gli accertamenti tecnici irripetibili sull’arma del delitto. Si tratta di un tubo metallico da cantiere, una spranga di ferro rinvenuta all’esterno della casa del delitto e immediatamente posta sotto sequestro. I Ris cercheranno su di essa tracce biologiche o impronte che possano inchiodare definitivamente l’uomo alle sue responsabilità.
Ma il dettaglio più agghiacciante di questa drammatica vicenda emerge dal passato giudiziario del falegname. Nazif non era un volto sconosciuto alla giustizia. Lo scorso luglio, infatti, aveva patteggiato una condanna a 24 mesi di reclusione proprio per maltrattamenti continuati ai danni della moglie Sadjide. Il giudice, in quell’occasione, aveva disposto per lui l’inserimento in un percorso specialistico di recupero, uno di quelli riservati agli “uomini maltrattanti”, pensato per sradicare i comportamenti violenti e prevenire l’escalation.
Tuttavia, Nazif era finito in una lista d’attesa. Un ritardo burocratico, uno slittamento che, secondo quanto avrebbe confessato lui stesso, lo avrebbe gettato nel panico. L’uomo avrebbe sviluppato il terrore di poter tornare in cella a causa di questo ritardo, una paura che potrebbe aver fatto da detonatore alla sua rabbia repressa, scatenando la furia omicida contro la persona che un tempo aveva giurato di proteggere.
La morte di Sadjide Muslija non è dunque solo il tragico epilogo di un rapporto violento, ma anche un drammatico monito sull’efficacia e la tempestività delle misure di prevenzione. Una donna è morta mentre il suo assassino, già condannato, attendeva di iniziare un percorso che, forse, avrebbe potuto salvarle la vita. Una falla nel sistema che oggi lascia l’intera comunità sotto shock e solleva interrogativi pesanti a cui la giustizia e la società dovranno trovare risposta.





















