NAPOLI – Una dimostrazione di forza, una ‘stesa’ che avrebbe potuto provocare una strage. Un modo per imporre il dominio del clan e recapitare un messaggio chiaro ai rivali. La risposta della Dda non si è fatta attendere. I carabinieri hanno dato esecuzione a un provvedimento di fermo nei confronti di tre giovani: Giuseppe Damiano, 20 anni, Vincenzo Barbato, 23 anni,ed Emmanuel De Luca Bossa, 23enne figlio di Antonio De Luca Bossa, alias Tonino ’o sicco, capo dell’omonima organizzazione criminale alleata con i Minichini e i Casella e contrapposta ai De Micco–De Martino. Tra i destinatari del provvedimento spicca anche un minorenne, che però è riuscito a sfuggire alla cattura, risultando irreperibile.
I quattro sono ritenuti dal pool anticamorra napoletano autori della ‘stesa’ avvenuta nel pomeriggio del 2 luglio scorso in viale Margherita. Una raffica di proiettili impressionante, sotto gli occhi terrorizzati di decine di abitanti. Un’azione particolarmente violenta ed eclatante commessa in pieno giorno da quattro soggetti a volto scoperto in sella a due ciclomotori di grossa cilindrata (una Suzuki Gsr e una Triumph Speed Triple) che hanno esploso numerosi colpi d’arma da fuoco ad altezza uomo senza mai arrestare la marcia e proseguendo per almeno 60 metri.
Le immagini acquisite dai sistemi di videosorveglianza dimostrano la spregiudicatezza e la spavalderia degli autori della scorreria che hanno volontariamente esploso i colpi alla presenza di numerosi passanti creando un fuggi fuggi generalizzato. La durata dell’azione di fuoco, il numero dei colpi esplosi per un lungo tragitto. la direzione degli stessi e il percepibile stato di agitazione creato nei passanti costituiscono la dimostrazione della particolare pericolosità degli indagati, identificati, proprio attraverso la visione delle telecamere, in Damiano, Barbato, De Luca Bossa jr e nel minorenne. i primi tre sono stati, tra l’altro, già protagonisti di precedenti azioni altrettanto eclatanti. In particolare, Damiano e Barbato, nel settembre 2021, furono arrestati insieme ad altri soggetti, per aver opposto resistenza nei confronti degli agenti di una volante della polizia di Stato utilizzando una mitraglietta Skorpio. Una volta rimessi in libertà in seguito a sentenza di assoluzione emessa dal gup di Napoli il 19 maggio 2022, hanno, immediatamente, ripreso il proprio posto nell’organizzazione di camorra. De Luca Boss jr è tornato in libertà il 18 giugno. Ma – si legge nel provvedimento firmato dalla Dda, pm Antonella Fratello e Simona Rossi – anche durante la detenzione domiciliare ha provveduto ad impartire direttive agli altri affiliati, come emerge dall’ordinanza emessa dal gip di Napoli il 5 aprile in sede di convalida del fermo del pm nei confronti del boss Marco De Micco, Bodo all’anagrafe di camorra, e altri per l’omicidio di Carmine D’Onofrio, figlio di Giuseppe De Luca Bossa, ras e fratello di ’o sicco.
Per mesi Ponticelli è sembrato un quartiere silenzioso. La situazione è cambiata a partire da fine maggio con le scarcerazioni dei tre indagati e il ritorno sul territorio di Christian Marfella, figlio di Teresa De Luca Bossa, esponente di spicco del clan. Immediata è stata la reazione da parte dei De Micco, che a distanza di dopo poco più di 24 ore, precisamente nel corso della notte tra iI 3 e il 4 luglio, hanno esploso almeno 18 colpi d’arma da fuoco all’interno del Lotto Zero di Ponticelli, zona di operatività della famiglia De Luca Bossa, e precisamente in via Cleopatra, nei pressi dell’esercizio pubblico Eurobet, ferendo a colpi di arma da fuoco Francesco Sorrentino.
Prima lo sfottò sui social e poi l’agguato a Sorrentino
I social assumono sempre più importanza nella comunicazione della camorra. Sia interna che verso l’esterno. Sia verso gli affiliati che verso i nemici. E la ‘stesa’ del 2 luglio, con gli spari all’impazzata che hanno rischiato di uccidere innocenti, ha avuto una reazione immediata. Una sfida lanciata dal clan De Micco attraverso un account TikTok, poi cancellato. Una scritta che ha il retrogusto dello sfottò (nella foto). Poi l’altra risposta, quella armata, con il tentato omicidio di Francesco Sorrentino nel Lotto Zero, roccaforte del clan De Luca Bossa. Elementi che, si legge nel provvedimento della Da, “pongono le basi per una probabile escalation di violenza e impone agli indagati di tenersi al riparo da prevedibili ulteriori attacchi da parte degli avversari nonché da eventuali interventi delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria”. E in questo senso l’Antimafia ci ha visto lungo. La dimostrazione è avvenuta ieri mattina con l’agguato in via Eugenio Montale, dove i killer hanno ‘eliminato’ Carlo Esposito, Kallon per gli amici, ritenuto vicinissimo ai De Micco, oltre a un operaio che era lì per montare una zanzariera. A Ponticelli la faida tra De Luca Bossa-Minichini–Casella e De Micco-De Martino è esplosa per una questione economica. Fino all’agosto 2020, infatti, la famiglia De Martino operava all’interno del ‘cartello’ formato dai clan De Luca Bossa, Minichini e Casella. Un ‘cartello’ espressione, secondo gli inquirenti, dell’Alleanza di Secondigliano, che riunisce i clan Contini del Vasto, Licciardi di Secondigliano e Mallardo di Giugliano. Poi la decisione di escludere i membri del clan De Martino ‘XX’ dalla ripartizione dei profitti criminosi e delle cosiddette ‘mesate’ alle famiglie dei detenuti. Da allora, il quartiere ha fatto da teatro a uno scontro armato che ha fatto registrare decine di rappresaglie tra agguati, ‘stese’, raid esplosivi e incendiari. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il primo fatto di cronaca ascrivibile alla faida è l’agguato del 26 settembre 2021 in via Esopo nei confronti di Salvatore Chiapparelli, detto Toporecchia, e Fabio Risi, ritenuti vicini al clan De Martino.
Le redini del clan prese dal nipote di Donna Teresa
Le redini del clan afferrate da Emmanuel De Luca Bossa. E’ la tesi sostenuta dalla Dda, che indica nel figlio del capoclan ergastolano Antonio De Luca Bossa, nonché nipote di Teresa De Luca Bossa (detta Donna Teresa) detenuta in regime di carcere duro, il reggente della cosca. “E’ chiaro che l’attuale detenzione dello zio Giuseppe De Luca Bossa – recita il provvedimento eseguito ieri – del fratello Umberto e degli altri membri della famiglia di camorra, Emmanuel rappresenti oggi, nonostante la sua giovane età, il massimo referente della sua organizzazione criminale”. Ruolo che emerge anche dall’ordinanza del 5 aprile relativa all’omicidio di Carmine D’Onofrio, che ricostruisce l’affiliazione di quest’ultimo al clan De Luca Bossa e ne delinea i rapporti proprio con il cugino Emmanuel, all’epoca e fino allo scorso 18 giugno, in regime di arresti domiciliari per una rapina.
In particolare, lo strettissimo legame tra Emmanuel e Carmine, e la circostanza che quest’ultimo fosse utilizzato dal cugino per commettere
delle azioni illecite emerge in primo luogo dalle stesse dichiarazioni dei familiari di D’Onofrio. che hanno anche fatto riferimento alle intenzioni di Carmine di trasferirsi presso un’abitazione del Lotto Zero, zona di residenza degli esponenti del clan. Cosa che sarebbe accaduta a breve se Carmine non fosse stato ucciso in quanto l’appartamento era stato già individuato e allo stesso assegnato proprio dal cugino Emmanuel.
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