Ferraro, la Dda: “Non è solo un facilitatore. Ha ripreso un ruolo pieno nei Casalesi”

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Nicola Ferraro e Nicola Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Non è più (solo) un ‘facilitatore’ di appalti: per la Direzione distrettuale antimafia Nicola Ferraro, detto ‘Fucone’, ex consigliere regionale dell’Udeur, avrebbe ripreso un ruolo pienamente partecipativo nel clan dei Casalesi, nello stesso perimetro economico che lo rese centrale fino al 2010, tra rifiuti e sanificazioni ospedaliere. È il cuore dell’appello dei pm Maurizio Giordano e Vincenzo Ranieri contro l’ordinanza con cui il gip, lo scorso 2 settembre (quando l’ha depositata), ha negato la misura cautelare per associazione mafiosa, riducendo il quadro a un semplice sistema illecito per alterare gare pubbliche. Ferraro è accusato dalla Procura di Napoli di essere stato al vertice di un sistema con cui, sfruttando il suo peso mafioso, sarebbe riuscito a far infiltrare ditte ‘amiche’ negli appalti per l’igiene urbana nei Comuni o per le sanificazioni nelle strutture sanitarie: in alcuni casi, sostengono gli inquirenti, corrompendo, in altri facendo leva su agganci politici.

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Per la Dda, quanto stabilito dal gip è un “errore di valutazione indiziaria”: i gravi indizi ci sono e vanno letti in modo unitario. Secondo i pm, la decisione del giudice ha “travolto” a cascata anche altri capi e l’aggravante di agevolazione mafiosa; il nucleo resta però la sussistenza dei gravi indizi di partecipazione di Ferraro al clan. L’accusa richiama pagine dell’ordinanza e la stessa storia giudiziaria dell’indagato (già condannato in via definitiva per concorso esterno), sostenendo che gli elementi attuali descrivono non una rendita d’immagine, ma una ripresa del ruolo nella rete casertana degli appalti. Da qui la richiesta di misura cautelare custodiale per la presunta intraneità al clan.

I pm contestano al gip di aver “spacchettato” gli elementi cercando prova piena, senza considerarli come riscontri convergenti alle dichiarazioni dei collaboratori. In atti, tra gli altri, le dichiarazioni di Nicola Schiavone e Giuseppe Misso, integrate da quelle di Francesco
Barbato, Vincenzo D’Angelo (genero di ‘Cicciotto ’e Mezzanotte’) e Antonio Lanza: un quadro che, per l’accusa, accredita Ferraro come figura di primo piano nell’imprenditoria collegata al clan, anche dopo la scarcerazione.

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Sul piano fattuale, l’appello elenca intercettazioni e riscontri: dai dialoghi in cui si discute di percentuali da corrispondere a Ferraro sugli appalti (con gli imprenditori Rea e Rubino) – che il gip ha derubricato a “carisma personale” – alla gestione di una richiesta estorsiva fatta rientrare con la mediazione dell’indagato (il caso di ‘Minuccio ’o pazzaglione’, identificato come Carmine D’Addio, ai danni di Aniello Ilario, uomo d’affari del settore rifiuti, anch’egli coinvolto nell’indagine con Ferraro). Per i pm, episodi come questi non provano solo influenza ambientale, ma funzioni tipiche di appartenenza: composizione di controversie, canalizzazione di utilità, regole del riparto dei profitti.

Un capitolo a parte riguarda la vicenda Supereco (ditta attiva nell’igiene urbana)–Catania: i flussi economici verso Ferraro (10mila euro mensili, secondo l’accusa) e i contatti che, per l’ufficio requirente, dimostrerebbero la capacità di interlocuzione mafiosa interprovinciale. Il
gip ha qualificato quelle condotte come millanterie funzionali a spillare denaro agli imprenditori; i pm replicano che i riscontri investigativi e le misure scattate in parallelo a Catania confermano il peso reale di quei rapporti. Il punto giuridico è netto: per la Dda non si è davanti a un’associazione ‘semplice’ nata per turbare gare, ma alla stabile ripresa del ruolo di Ferraro dentro la struttura mafiosa, con regole, protezioni, ripartizioni e servizi offerti agli imprenditori ‘amici’. La lettura alternativa del gip – che separa il ‘prima’ (fino al 2010) dal ‘dopo’ – è ritenuta atomistica e non rispettosa della logica dei gravi indizi: l’appello chiede quindi di riformare l’ordinanza e applicare a Ferraro una misura cautelare custodiale per mafia, ristabilendo anche il perimetro delle aggravanti di agevolazione mafiosa.

In sintesi, l’accusa vuole che il tribunale del Riesame ricomponga il mosaico: intercettazioni, flussi di denaro, mediazioni in ambito estorsivo, canali sugli appalti di rifiuti e sanificazioni, dichiarazioni dei collaboratori. Un fascio di elementi che, nel disegno della Dda, sorregge l’attualità della partecipazione mafiosa e giustifica la cautela più incisiva. Ora la parola passa ai giudici. L’inchiesta che ha interessato Ferraro – oggi in carcere per corruzione e turbativa d’asta senza aggravante mafiosa – lo scorso 9 settembre (quando è stata eseguita dai carabinieri l’ordinanza) aveva fatto scattare altre 16 misure cautelari (tutte senza contestazione di mafia), alcune delle quali però annullate dal Riesame, come quella per Giuseppe Rea, che era finito in cella per istigazione alla corruzione, riciclaggio e turbativa d’asta, e per Giuseppe Guida, che era ai domiciliari per corruzione. Tutti i soggetti coinvolti nell’indagine sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.

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