Fare opposizione è un conto, governare è tutt’altra cosa. E se per ottenere voti rimpinzi di proclami e promesse la campagna elettorale è più che scontato che molti di quegli annunci rischiano (se diventi maggioranza) di trasformarsi in un bluff. Come è accaduto con il Movimento 5 Stelle. Come sta accadendo con il reddito di cittadinanza.
Di Maio, l’anno scorso, era stato chiaro: aveva promesso che la misura avrebbe preso il via a marzo. “Io non partirò mai ad aprile – disse il vicepremier. – Con questo provvedimento ci rivolgiamo a 5 milioni di persone in difficoltà, 5 milioni di persone e di famiglie in difficoltà. Il governo aveva calcolato tutti coloro che avevano diritto a prendere il reddito ed erano quindi stati previsti più soldi. Non daremo 780 euro a tutti, alcuni hanno un reddito di 200-300 euro, noi li portiamo a 780”.
Voleva evitare a tutti i costi che l’annuncio si trasformasse in un pesce d’aprile. “Mi rifiuterò categoricamente di farlo partire il primo aprile, le ironie si sprecherebbero: si comincia a fine marzo”, confermò a dicembre.
E altro che aprile: se tutto andrà liscio i primi assegni arriveranno a maggio. L’intesa con i Caf permetterà ai centri di raccogliere le domande dal 6 marzo fino al 31: poi l’Inps le lavorerà fino al 15 aprile per verificare i requisiti. Ed entro 10 giorni l’Istituto dovrebbe comunicare ai richiedenti se hanno o meno diritto ad intascare il denaro. Se dovessero avere tutte le carte in regola, allora sarà Poste Italiane a contattare chi ha presentato l’istanza per ritirare la card. E così arriviamo a maggio, forse. Salvo ulteriori rinvii fra due mesi chi ha diritto potrà usufruire del denaro che gli era stato promesso già ad aprile. Restano gli annunci, le promesse. Sostanza poca, solo chiacchiere.