Fondi russi, Draghi: non sono coinvolti partiti italiani, il paese non si fa abbattere da pupazzi prezzolati 

Chi temeva esplodesse la 'bomba' in piena campagna elettorale, o peggio che ci fosse un inquinamento del voto, può tirare un sospiro di sollievo

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Mario Draghi

ROMA – Chi temeva esplodesse la ‘bomba’ in piena campagna elettorale, o peggio che ci fosse un inquinamento del voto, può tirare un sospiro di sollievo. Non ci sono partiti o esponenti politici italiani nel dossier degli 007 Usa sui fondi russi inviati alle forze politiche di diversi Paesi, anche in Europa. Così dicono il presidente Mario Draghi e il sottosegretario Franco Gabrielli, Autorità delegata per la sicurezza. Vicenda chiusa, dunque? Per ora parrebbe di sì, anche se lo stesso premier fa sapere che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, “si è riservato di verificare se ci fosse evidenza in altri documenti a disposizione delle autorità americane e si è impegnato di comunicarlo tramite canali istituzionali”.

Al momento Blinken conferma comunque “l’assenza di forze politiche italiane nella lista di destinatari di finanziamenti russi”, riferisce Draghi, e successivamente “i vertici dei servizi segreti italiani hanno avuto contatti con i loro omologhi statunitensi e in queste conversazioni l’intelligence americana, che è diversa dal Dipartimento di Stato e dal Tesoro, ha confermato di non disporre di alcuna evidenza di finanziamenti occulti russi a candidati e partiti politici che competono nell’attuale tornata elettorale”. Ma al di là della specifica vicenda, il presidente del Consiglio vuole rassicurare i cittadini. Anche se risultassero ingerenze, “la democrazia italiana è forte, non è che si fa abbattere da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati”. Del resto, “negli ultimi venti anni il governo russo ha effettuato una sistematica opera di corruzione” in “molti Paesi europei e negli Stati Uniti. Queste sono cose note, non c’è niente di cui stupirsi”.

Che non ci fossero italiani tra i destinatari dei 300 milioni di dollari che, dal 2014, la Russia avrebbe inviato in una ventina di Paesi, lo conferma anche lo stesso Gabrielli durante l’audizione del mattino al Copasir. Il prefetto cita i rapporti di Dis e Aise redatti sulla base dell’interlocuzione con l’intelligence americana: quest’ultima – a quanto si apprende da fonti parlamentari – avrebbe secretato il rapporto e inviato ai colleghi italiani solo un estratto da cui non risulterebbe il coinvolgimento del nostro Paese o di altre nazioni. Allo stesso modo non si attendono, al momento, nuovi dossier.

Per questo il presidente del Copasir, Adolfo Urso, si spinge fino al punto di dire che “il caso è chiuso” dopo aver ribadito che da Gabrielli “sono stati forniti elementi” dai quali “non sono emersi profili concernenti la sicurezza nazionale del nostro Paese”. Anzi, secondo Urso, il caso “forse non si sarebbe nemmeno dovuto aprire”, ma “purtroppo siamo in una campagna elettorale eccessivamente aggressiva e dai toni troppo alti, in cui si tende a denigrare l’avversario più che concentrarsi sui programmi per il Paese”. A tal proposito, dopo giorni in cui la vicenda dei fondi russi è stata al centro del dibattito politico ed elettorale, oggi il solo leader a parlarne è il segretario della Lega Matteo Salvini, con un tweet lapidario: “Dopo fango, insinuazioni e attacchi vergognosi, ora mi aspetto delle scuse”.

(Giuseppe Recchia/LaPresse)

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