CASERTA – La Corte d’Appello di Napoli, quinta sezione penale, si è pronunciata lo scorso 9 dicembre sul ricorso presentato da Antonio Corvino, 48 anni, di Caserta, detenuto agli arresti domiciliari per altra causa, detto ‘culacchiotto’, boss della droga casertana, confermando la sua responsabilità penale per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, ma ridimensionando l’accusa iniziale e la pena inflitta. Corvino era stato dichiarato responsabile dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 18 settembre 2024 per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e oltraggio a pubblico ufficiale, unificati sotto il vincolo della continuazione. In primo grado, era stato condannato a sei mesi e dieci giorni di reclusione, con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata e infraquinquennale,
e tenuto conto del vizio di mente parziale. I fatti risalgono all’8 febbraio 2020 all’interno della casa circondariale di Santa Maria Capua
Vetere, dove Corvino, alla presenza di altri detenuti e assistenti di polizia penitenziaria, avrebbe offeso e minacciato un agente durante la
somministrazione di terapie farmacologiche, proferendo frasi come “sei uno scemo, ti devo tagliare la testa ti devo schiattare… tu non sai
con chi hai a che fare” e “sei uno scemo… pezzo di merda”.
La difesa, rappresentata dagli avvocati Nello Sgambato e Alfonso Iovino, aveva chiesto in appello l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato”, e, in subordine, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto e la disapplicazione della recidiva, oltre alla riduzione della pena ai minimi edittali. In via preliminare, la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta della difesa di
rinnovare l’istruttoria dibattimentale per acquisire l’eventuale provvedimento disciplinare penitenziario subito da Corvino in relazione agli
stessi fatti. La Corte ha ribadito, in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte, che la sanzione disciplinare penitenziaria e quella penale operano su piani diversi: la prima mira a garantire la sicurezza interna all’istituto, la seconda comporta la privazione della libertà personale. Di conseguenza, non si ravvisa la violazione del principio del ne bis in idem (non essere giudicato due volte per lo stesso fatto)
e l’acquisizione del provvedimento non è stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio penale. Passando al merito, la Corte ha ritenuto condivisibile la ricostruzione dei fatti emersa dalle testimonianze convergenti degli agenti di polizia penitenziaria e dell’infermiera presenti.
La sentenza ha portato a una significativa riqualificazione delle accuse. La Corte d’Appello ha stabilito che la condotta di Corvino non integra
gli elementi costitutivi dei reati di resistenza a pubblico ufficiale o di violenza o minaccia a pubblico ufficiale. Dalla ricostruzione è emerso che lo scoppio d’ira era stato innescato dalla difficoltà dell’agente nell’aprire una boccetta di medicinali, e mancava la finalità specifica
di ostacolare o impedire l’attività d’ufficio dell’agente. Corvino è stato, quindi, assolto dal reato di resistenza. È stata invece confermata la responsabilità per l’oltraggio a pubblico ufficiale. La Corte ha ribadito che le frasi proferite possedevano un’oggettiva valenza offensiva all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale. Inoltre, in linea con una consolidata giurisprudenza di legittimità, la cella e gli ambienti penitenziari sono considerati luogo aperto al pubblico, essendo nella completa disponibilità dell’amministrazione e alla presenza di altri detenuti e colleghi dell’agente offeso.
La difesa aveva sostenuto l’assenza dell’elemento soggettivo alla luce della consulenza tecnica che aveva riscontrato un vizio parziale di mente (disturbo borderline di personalità) all’epoca dei fatti. La Corte ha rigettato tale tesi, chiarendo che il vizio parziale di mente è compatibile con il dolo. Nel caso specifico, la scemata imputabilità non è stata ritenuta sufficiente ad elidere la capacità di intendere e di volere, e dunque la consapevolezza e la volontà di porre in essere la condotta offensiva. Analogamente, la Corte ha escluso l’applicazione della particolare tenuità del fatto, sia per la natura e l’allarmante contenuto delle minacce rivolte a un pubblico ufficiale in servizio, sia per l’abitualità criminale di Corvino, risultante dai numerosi precedenti penali.
Infine, è stata confermata la contestazione della recidiva reiterata infraquinquennale, ritenuta indice di elevata attitudine a delinquere e di consolidata riprovevolezza, incompatibile con la concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello ha quindi assolto Antonio Corvino dal reato di resistenza. Ritenuta la sola responsabilità per l’oltraggio a pubblico ufficiale e applicata la diminuente per il vizio parziale di mente in equivalenza con la recidiva contestata, la Corte ha ridefinito la pena base al minimo edittale, determinandola in mesi sei di reclusione, successivamente ridotta a mesi quattro di reclusione. La sentenza finale del 9 dicembre 2025 ridetermina così la sanzione in quattro mesi di reclusione per Antonio Corvino.





















