CASAL DI PRINCIPE – Un’intercettazione relativamente ‘fresca’: è datata 5 gennaio 2020. E se quanto detto dai due personaggi, ascoltati dalla Dia, fosse vero, fa ripiombare una porzione della provincia casertana in un passato che, almeno in parte, sembrava superato. I protagonisti della conversazione sono Pietro Apicella, ex consigliere comunale, nipote di Dante, alias, Damigiana, già condannato per mafia nel processo Spartacus, e Nicola Schiavone ‘o russ, tornato in libertà due anni fa dopo aver scontato circa un decennio in carcere per aver gestito i rapporti tra clan dei Casalesi e imprenditori collusi.
Stando alla chiacchierata captata dagli agenti dell’Antimafia, ‘o russ, voglioso di rimettersi in pista, di tornare a fare business, chiede ad Apicella se esistevano ed erano ancora praticate modalità illecite per ottenere appalti. Era stato fuori dai giochi per quasi dieci anni e aveva bisogno di capire come muoversi (se valevano o meno le stesse ‘regole’ criminali vigenti prime del suo arresto). E il nipote di Damigiana lo rassicura, dicono gli investigatori della Dia: “Nulla è cambiato rispetto al passato”. E’ il senso della risposta data dall’ex consigliere comunale. Una traccia che è oggetto di approfondimento da parte della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Una traccia che non fa bene alle speranze di chi credeva di trovarsi in un mondo dove le ingerenze della mafia nella cosa pubblica, grazie alle numerose indagini sfociate in arresti e confische, fossero diventate meno impattanti.
L’intercettazione indicata dalla Dia è tra gli atti dell’inchiesta che rischia di portare a processo Pietro Apicella, lo zio Dante ed altri 66 imputati (nell’elenco non figura Schiavone ‘o russ), accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno al clan, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, riciclaggio ed estorsione. Due i temi dell’attività investigativa che ha generato il procedimento penale al vaglio del Tribunale di Napoli: da un lato le condotte dei fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone, imprenditori che per la Procura si sono inseriti in settori strategici della nazione, come trasporti, telecomunicazione ed energia, ottenendo lavori corrompendo o manifestando la loro presunta appartenenza alla mafia. Dall’altro, la rete di società gestite da Apicella che pure si sarebbe infiltrato nel giro di appalti pubblici garantendo, con parte dei proventi ricavati, sostegno alla cosca. Pietro, stando alla tesi dei pm Graziella Arlomede e Antonello Ardituro, sarebbe diventato il referente per la gestione, sotto la direzione dello zio Dante e del papà Vincenzo, “dell’attività imprenditoriale della fazione Schiavone”. Per l’accusa ha curato “gli interessi economici del clan, effettuato investimenti ed operazione di riciclaggio in aziende”. Avrebbe anche svolto la funzione di intermediario tra storici affiliati e Damigiana. L’udienza preliminare che coinvolge i tre Apicella e altre 65 persone proseguirà a dicembre. Gli imputati sono da considerare innocenti fino ad un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.