VILLA LITERNO – Problemi di successione e dissapori sulle estorsioni: furono queste le ragioni che, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, innescarono una delle più feroci guerre di mafia casertane. Da un lato i Bidognetti, compagine diretta da Cicciotto ‘e Mezzanotte, dall’altro l’area Cantiello-Diana, che aveva stretto un’alleanza con i Tavoletta-Ucciero di Villa Literno. E dietro i liternesi, a garantire loro armi e denaro per combattere, c’erano gli Schiavone. Ingaggiare uno scontro a viso aperto con i Bidognetti non era nei piani della compagine diretta da Francesco Sandokan Schiavone: troppo furbo il padrino per avviare una guerra che avrebbe minato le fondamenta del clan dei Casalesi da lui fondato (con l’aiuto di Cicciotto). Ma se poteva indebolirli senza esporsi, visto che tra lui e i Bidognetti i rapporti non erano mai stati del tutto idilliaci, era un’occasione che non si faceva sfuggire.
Guardando quello che sta accadendo ora, verrebbe da dire ‘corsi e ricorsi storici’. Per quale ragione? Quella faida tracciò un forte legame tra schiavoniani e liternesi. Ed è un’intesa che, a quanto pare, si sarebbe rivelata utile oggi, a distanza di venti anni, a Emanuele Libero Schiavone. Il rampollo di casa Sandokan, prima che il 15 giugno scorso venisse riportato in cella (è accusato di detenzione e porto illegale di armi con l’aggravante mafiosa), si era impegnato a riorganizzare la cosca un tempo guidata dal padre (che lo scorso marzo ha avviato un percorso di collaborazione con la giustizia – dall’esito ancora incerto). Come raccontato già in diverse occasioni, in questa fase di ristrutturazione criminale, Schiavone jr si è scontrato con un altro gruppo criminale, che aveva preso forza mentre lui era in carcere, collegato ai Bidognetti.
Agguati falliti, stese, spari contro il portone: sono i frutti di questa battaglia (che abbiamo abbondantemente raccontato). E per combatterla, il figlio di Sandokan avrebbe coinvolto soggetti liternesi direttamente e indirettamente legati a quei Tavoletta-Ucciero che, foraggiati dal padre, si scontrarono con i Bidognetti.
A dare una traccia ai carabinieri, coordinati dalla Dda di Napoli, su chi fossero questi soggetti, sono stati, inconsapevoli di essere ‘ascoltati’, Emanuele Libero Schiavone e Giuseppe Del Vecchio Mandarino, figlio di Antonio, ergastolano e storico esponente del clan dei Casalesi.
Del Vecchio, che vive a Tenerife, era tornato in Italia. ad aprile, per ‘accogliere’ Sandokan jr appena scarcerato e mostrargli vicinanza. In uno dei loro incontri avvenuti nella casa di via Bologna, dove viveva Schiavone, i due hanno parlato, con toni abbastanza espliciti, proprio della riorganizzazione del gruppo mafioso. Era il 16 aprile e Mandarino conversando con l’amico, consapevole della sua intenzione di rinforzare la compagine, fa i nomi di Gennaro e Vincenzo, indicandoli come persone che “hanno a disposizione i viveri, ma sono limitati”. E se fosse stato intenzionato ad assoldarli, raccomanda Del Vecchio a Schiavone, avrebbe dovuto “tenerli con il morzo in bocca”. Gennaro e Vincenzo sarebbero, appunto, i soggetti liternesi.
Se la faida, fortunatamente, non è decollata, è grazie all’intervento tempestivo dei carabinieri che sono riusciti ad arrestare Emanuele Libero Schiavone e uno dei suoi fidati, il sanciprianese Francesco Reccia (dopodomani le loro posizioni saranno esaminate dal Riesame a cui si sono rivolti gli avvocati Paolo Caterino e Domenico Della Gatta). Insomma, sono stati neutralizzati due dei protagonisti di questa potenziale guerra (disinnescando la tensione che si era iniziata a respirare in città). Ma l’attività investigativa prosegue: e va avanti non solo per tracciare chi aveva aderito al progetto mafioso di Schiavone jr, ma anche per disarticolare il gruppo rivale legato ai Bidognetti.
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