ROMA – Rischiano il processo Gianfranco Fini e compagna. “Per amore, solo per amore”, cantava Roberto Vecchioni. E se il percorso politico dell’ex An ha avuto un blocco irreversibile è proprio (anche) per amore. Ma amore per chi? Per Elisabetta Tulliani. La bella 45enne romana domattina, con il fratello Giancarlo, il padre Sergio, Fini e Francesco Corallo, comparirà dinanzi al giudice Elvira Tamburelli del tribunale di Roma. I quattro, accusati di riciclaggio transazionale, affronteranno l’udienza preliminare.
La scelta processuale
L’ex presidente della Camera e la sua famiglia ‘acquisita’ non hanno intenzione di accedere a riti alternativi. Niente abbreviato: se saranno rinviati a giudizio dal gup affronteranno il dibattimento, con tanto di istruttoria pubblica. La vicenda al centro dell’inchiesta che rischia di mandare a processo l’uomo col trench della ‘svolta di Fiuggi’, riguarda i presunti rapporti dei Tulliani (e io suoi) con Corallo, ‘il re delle slot’, 54enne catanese. I fatti contestati dalla Procura risalgono al 2008: 7 milioni di euro sarebbero i profitti illeciti accumulati dal business-man siciliano grazie al mancato pagamento delle imposte sul gioco on-line e sulle videolottery.
L’accusa
I quattrini, sostiene l’accusa, sono finiti su conti offshore dei Tulliani attraverso trasferimenti innescati dall’imprenditore di Catania senza ‘causali’ credibili. E gli imputati quindi avrebbero occultato e trasferito l’ipotizzato profitto illecito attraverso movimentazioni su conti italiani e all’estero. Negli atti dell’inchiesta è contenuta anche la storia della casa di Montecarlo (per gli inquirenti finita nelle mani di Giancarlo Tulliani) che ha contribuito a stroncare la carriera istituzionale di Gianfranco Fini.
La difesa di Gianfranco Fini
L’ex capo di Alleanza Nazionale si è sempre difeso definendosi “un coglione, ma un corrotto mai”. Nulla avrebbe saputo dell’appartamento ereditato dal suo (ex) partito. E nulla avrebbe saputo dei legami finanziari esistenti tra ‘il re delle slot’ e la famiglia Tulliani. Dunque, se oggi rischia il processo è “per amore, solo per amore”. Questo, però, non l’ha detto Fini, ma Roberto Vecchioni.