Giustizia e urne. L’intervista. Magi: “Le correnti in magistratura abbandonino le logiche clientelari. Referendum strumento inadeguato”

Il giudice: “Per riformare il Csm servono interventi legislativi. Non è come dire sì o no al divorzio, con il voto stavolta si corre il rischio di semplificare questioni complesse”

NAPOLI – In magistratura le correnti ci sono da decenni. Ma il grande pubblico, prima che il caso Palamara (Luca) arrivasse ad impegnare per mesi e mesi quotidiani, tv, radio e web, le ha sempre ignorate. A volte basta un’inchiesta e cambia tutto. E con quella della Procura di Perugia, che ha coinvolto proprio l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, il clima è mutato radicalmente: le correnti da elementi marginali sono diventate protagoniste e causa di tutto ciò che non va del sistema giustizia. E così gli strascichi mediatici e politici dell’indagine su Palamara, ancora forti, hanno dato energia al partito che chiede di ‘debellarle’ riformando il Consiglio superiore della magistratura (di cui Palamara pure ha fatto parte).
Il rischio di passare da un eccesso all’altro (sulle correnti) c’è. Ma adesso, con toni netti, anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha preso posizione: ha sottolineato l’urgenza di “cambiare le regole”. L’attività del Csm, ha ricordato il Capo dello Stato, deve mirare “a valorizzare le indiscusse professionalità di cui la magistratura è ampiamente fornita. Gli accordi per favorire interessi personali sono in contrasto con la funzione giurisdizionale”. Parole che Mattarella, a fine marzo, ha rivolto ai magistrati ordinari in tirocinio, accogliendoli in Quirinale, che da lì a pochi giorni avrebbero iniziato ad operare da pm o giudici presso i vari tribunali d’Italia.
La recente riforma della giustizia del ministro Marta Cartabia non ha messo mano al Csm. Farlo dovrebbe essere compito di un disegno legge che già a metà giugno, salvo rallentamenti, approderà in Senato.
Nel frattempo gli italiani fra dieci giorni si ritroveranno in cabina elettorale tre dei cinque quesiti del referendum che riguardano proprio il Csm. Ma il voto per affrontare gli aspetti tecnici del sistema giustizia a Raffaello Magi, in magistratura dal 1993 e dal 2013 consigliere presso la Corte di Cassazione, non piace troppo.

Per quale ragione?

Con sincerità dico che il referendum su questi argomenti non è uno strumento adeguato. Quando si parla di organizzazione della giustizia emergono questioni molto complesse che con la scelta referendaria rischiano di essere semplificate. Non è come il divorzio, l’aborto, repubblica o monarchia dove si doveva dire sì o no, dove si poteva scegliere in modo netto. Stavolta la situazione è tecnica e se ci sono problemi da risolvere il referendum non basta. Sono necessari interventi legislativi. E’ vero anche che c’è molta sofferenza, insoddisfazione.
E il referendum può essere considerato una risposta a queste sensazioni…

Esatto.

Adeguato o meno il referendum c’è. E uno dei suoi cinque quesiti riguarda la separazione delle carriere dei magistrati.

Continuo a pensare che sia un errore realizzare una separazione irreversibile. E’ vero che le professionalità sono diverse. Ma credo che tutti dovremmo avere a cuore l’idea di un pubblico ministero che, per quanto portato a sostenere l’accusa, sia comunque espressione della cultura della prova. Non vorrei che una sua carriera completamente separata spinga il ruolo del pm nelle braccia del potere esecutivo attribuendogli soltanto un ruolo di controllo sociale e di tipo poliziesco. E’ bene che ci siano degli sbarramenti, ma la magistratura è unitaria.

C’è chi dipinge le toghe come una categoria protetta e potente, che giudica e non può essere giudicata. Che se sbaglia non paga. E questa è una visione che ha dato la spinta decisiva a far finire sulla scheda la proposta di far esaminare l’operato di un magistrato anche dai membri laici (professori universitari e avvocati)

Sono favorevole. Su questo punto sono d’accordo. Ho fatto parte del Consiglio giudiziario della Corte d’appello di Napoli e la presenza della componente laica in alcune pratiche si è mostrata importante. Ritengo che questo tra i cinque quesiti forse sia l’unico azzeccato. Un maggior coinvolgimento dell’avvocatura darà benefici al sistema.

Gli italiani potranno esprimersi anche su un aspetto strettamente tecnico: hanno l’opportunità di abrogare la norma sulla reiterazione del reato escludendola dalle motivazioni per cui i giudici emettono ordinanza di misura cautelare.

E’ un quesito demagogico. Che facciamo? Lasciamo libero, mentre si svolge il processo, un soggetto accusato di reati gravi, come può essere l’omicidio o la violenza sessuale, nei confronti del quale abbiamo raccolto elementi di prova seri che rendono alta la probabilità di condanna? Il referendum nasce da una costatazione: ci sono molti casi in cui tante persone vengono arrestate prima ancora che si celebri il processo. E spesso quando l’iter si chiude per chi era stato portato in prigione arriva il verdetto di assoluzione. Il fenomeno della detenzione ingiusta è serio, non va sottovalutato. Ma il problema, a mio avviso, deve essere risolto con una valutazione più accurata della prova, non togliendo al giudice uno strumento che, se gestito bene, ha una grande valenza.

Ai cittadini si chiede anche se vogliono abrogare o meno la legge su incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna (la cosiddetta legge Severino). Cosa ne pensa?

Si cerca di sottrarre la classe politica-amministrativa ad un meccanismo di decadenza già dopo un’eventuale sentenza di condanna di primo grado. E’ sicuramente una legge dura, ma va difesa.

E veniamo alle correnti. Il referendum punta ad indebolirle chiedendo all’elettore se desidera eliminare la norma che impone al magistrato di raccogliere tra le 25 alle 50 firme per candidarsi al Csm.

Si sta già lavorando ad un disegno di legge che ha tra i suoi obiettivi proprio quello di rendere meno incisivo il potere delle correnti. Il problema esiste. E’ evidente. Ma la loro presenza negli anni ha avuto anche una funzione fondamentale di tutela di alcuni magistrati.
Non vanno demonizzate.

Gli scandali che ci sono stati non derivano tanto e solo dalla loro esistenza. Si è creato un corto circuito perché una parte (delle correnti e della politica) ha spinto troppo per avere voce in capitolo sulla scelta dei capi di alcune procure. E’ un fenomeno che va combattuto attraverso selezioni trasparenti dei candidati per la dirigenza degli uffici. E’ sbagliato quando queste scelte vengono dettate da logiche clientelari. Le organizzazioni interne alla magistratura si devono mostrare responsabili e allontanarsi da questi meccanismi. E’ sbagliato preferire un magistrato per la sua appartenenza ad un gruppo e non per i titoli che ha. Serve una battaglia culturale.

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