Roma, 3 ago. (LaPresse) – “Dalila si è uccisa appena dopo 4 ore dal suo ingresso nel carcere di Udine. Dalila era una giovane transessuale: doveva solo scontare una pena o una mera custodia cautelare, non perdere la vita. Il numero dei suicidi nelle carceri italiane, che è arrivato a quota 31 dall’inizio dell’anno, è preoccupante e indicativo di un sistema fallimentare e incapace di garantire la dignità dei detenuti ma anche di tutti gli operatori carcerari. In primis della polizia penitenziaria. Calpestato il principio per cui nessuna pena deve consistere in un trattamento disumano e degradante. Perché per una transessuale essere rinchiusa in una sezione maschile del carcere è di per sé una forma di tortura”. Lo dichiara Andrea Maestri, esponente di Possibile.“La denuncia del sindacato Sappe sulla vicenda di Udine chiarisce che forse il suicidio di Dalila si poteva evitare.
i motivi
Personale insufficiente per una efficace sorveglianza e un decreto mai emanato certificano le responsabilità del Ministero della Giustizia. La riforma dell’ordinamento penitenziario – finora osteggiata dal governo giallo-verde – deve necessariamente essere l’occasione per un intervento risolutivo. Anche su questa delicata materia che riguarda la dignità ed il rispetto dei diritti umani fondamentali ed inviolabili della persona.“Vorremmo sentire – conclude Maestri – parole e impegni chiari dal nuovo inquilino di Via Arenula Bonafede, perché oggi il carcere è un luogo in cui la Costituzione muore e con essa tante, troppe persone. A questo deve necessariamente aggiungersi l’impegno a contrastare le discriminazioni multiple a cui sono soggette le persone in transizione in particolare per quanto riguarda il rispetto della propria identità di genere in ogni ambito e settore della vita pubblica, che sia in carcere, negli ospedali o nelle scuole e università”.