Gli uomini del clan nel recupero crediti

I carabinieri: Mezzero incaricato dal titolare di una società di calcestruzzi per riscuotere 370mila euro da un cliente

CASAL DI PRINCIPE – Rivolgersi ai mafiosi e non allo Stato per vedersi riconoscere quello che si ritiene un proprio diritto violato: è il malsano meccanismo che contribuisce a tenere vive le organizzazioni malavitose. E l’inchiesta che, secondo il pm Vincenzo Ranieri, ha documentato il ritorno al crimine di Antonio Mezzero, storico esponente del clan dei Casalesi, ha fatto emergere come quel modo di fare sia, purtroppo, è ancora frequente.

L’ipotetica ripresa delle attività criminali da parte di Mezzero sarebbe coincisa, dice l’accusa, con il suo riacquistare la libertà, nel 2022, che gli era stata negata (perché colpevole di mafia e omicidio) per circa 24 anni (tutti trascorsi ininterrottamente in cella).
Indagando sul boss, i militari dell’Arma del Nucleo investigativo di Caserta hanno appreso che il titolare di una società attiva nel settore del calcestruzzo, con sede nell’Agro caleno, si era rivolto ad Alessandro Mezzero, 36enne di San Prisco, nipote del boss Antonio, per chiedergli di recuperare un credito che vantava nei confronti di un suo cliente. L’episodio risalirebbe all’aprile dell’anno scorso. Grazie al trojan installato sul telefono del 36enne, i carabinieri apprendono di un appuntamento che l’uomo d’affari aveva chiesto al nipote del mafioso “per un caffè”. Analizzando le conversazioni intercettate, emergerebbe, dicono i militari, che il patron della società di calcestruzzo aveva invitato in quell’occasione Mezzero ad aspettare 4 o 5 giorni prima di avvicinare di nuovo la vittima. Insomma, la prima visita era stata fatta, ma l’imprenditore voleva che la seconda venisse ritardata. A quanto ammontava la somma in ballo? La cifra salta fuori da una chiacchierata intrattenuta da Alessandro a casa dello zio Antonio (originario di Brezza, ma che, prima di finire lo scorso ottobre di nuovo in carcere, si era trasferito a S. Maria Capua Vetere): si tratterebbe di 370mila euro.

Quest’episodio non è tra quelli che il pm Vincenzo Ranieri ha inserito nella richiesta di arresto che ha fatto scattare le misure cautelari per Antonio e Alessandro Mezzero e per altre 12 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione (tentata e consumata), incendio, detenzione di armi e ricettazione. La vicenda, però, dimostrerebbe, secondo la tesi investigativa, l’attivismo mafioso di Antonio Mezzero e del nipote (e l’ennesima scelta di uomini d’affare che per risolvere un problema corrono dal criminale di turno).

L’inchiesta ha evidenziato anche come il boss di Brezza avesse un alto riconoscimento nel clan, al punto da spingere Elio Diana, altro storico esponente del clan, attivo a Casal di Principe, a recarsi da lui in diverse circostanze, ipotizza l’accusa, per discutere di affari illeciti.
L’indagine ha coinvolto a piede libero anche Carmine Zagaria, fratello del boss Michele, con l’accusa di estorsione. Logicamente, gli indagati sono da ritenersi innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.
Nell’elenco degli inquisiti non figura il titolare della società di calcestruzzo.

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