Riprendere il potere mafioso, mostrarsi forte e pronto, se necessario, a spargere sangue: era questo il disegno criminale di Emanuele Libero Schiavone. Per concretizzarlo, dopo aver lasciato il carcere di Siracusa il 15 aprile scorso, non solo si sarebbe attivato per formare una nuova squadra di fedelissimi disposti a ‘fare soldi’, ma avrebbe anche speso energia per armarla.
Sapeva che chi aveva occupato il vuoto di potere formatosi negli ultimi anni (grazie alle numerose operazioni antimafia coordinate dalla Procura di Napoli), non si sarebbe fatto da parte al suo ritorno. E non lo avrebbe fatto soprattutto ora che il padre, Francesco Sandokan Schiavone, aveva iniziato a collaborare con la giustizia (percorso complicatissimo, arrivato al giro di boa, e dall’esito ancora incerto). Sapeva che i rivali, legati ai Bidognetti, lo avrebbero contrastato. E quindi non solo voleva farsi trovare pronto, ma era intenzionato a colpire per primo, a sorprenderli.
Parte delle armi che Emanuele Libero aveva racimolato sarebbero state trovate a Trentola Ducenta, in un immobile non troppo distante dal centro commerciale. Il dato certo è che il soggetto che le aveva in custodia è stato arrestato. Ora l’indagine, condotta dai carabinieri, è in corso per dare sostanza al fatto che quell’arsenale fosse stato portato lì proprio dagli uomini di Schiavone.
Emanuele Libero, dalla scorsa settimana, è di nuovo in cella con l’accusa di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi, reato cristallizzato lo scorso 7 giugno, dice la Dda, poco dopo la sparatoria avvenuta in piazza Mercato e il raid contro il portone della sua abitazione di via Bologna. Intercettazioni e immagini, affermano i pm Vincenzo Ranieri e Simona Belluccio, tracciano che Sandokan jr e il suo amico, Francesco Reccia, 21enne di San Cipriano, figlio dello storico affiliato al clan Oreste (alias Recchia e lepre) quella notte, a dir poco movimentate, mentre subivano la furia dei rivali (verosimilmente legati al gruppo Bidognetti). erano in possesso di pistole. Una furia, a quanto pare, generata da un altro episodio. Quale? Il giorno prima, Emanuele Libero Schiavone avrebbe tentato di colpire un avversario, operazione fallita a causa di un suo incidente in moto e perché nel luogo designato per l’azione la vittima non era presente (c’era invece una pattuglia delle forze dell’ordine). Questi tentativi sarebbero stati concretizzati, per ora è un’ipotesi investigativa, con parte delle armi trovate a Trentola Ducenta.
Il rischio è che, nonostante i recenti arresti, chi è ancora fuori ed è legato agli Schiavone e ai Bidognetti possa decidere ugualmente di agire e proseguire lo scontro. Le forze dell’ordine sono però impegnate ad evitarlo con costanti controlli del territorio. Che Emanuele Libero Schiavone avesse in mente di agire con violenza una volta uscito dal carcere era noto da mesi. Quando era in prigione, usando cellulari clandestini, aveva fatto capire le sue intenzioni belliche ai propri fidati. E quando a marzo venne a conoscenza della collaborazione con la giustizia del genitore, disse alla madre, Giuseppina Nappa, che da allora in poi lui e il fratello Ivanhoe sarebbero stati in pericolo. “Senti, i figli tuoi se ne tornano a Casale e mo’ tu lo sai che hanno il mondo contro. Non sai le botte da dove vengono, perciò si devono difendere.” Difendersi attaccando, armandosi e spargendo sangue.
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