Huawei, è polemica globale. Trump: “Sì ai negoziati con la Cina”

Ad allargare il campo della discussione in atto anche all'Europa è intanto il vice presidente della Commissione Ue

MILANO (AWE/LaPresse) – All’indomani dell’arresto in Canada di Meng Whanzhou, chief financial officer di Huawei e figlia del fondatore dell’azienda, sulla quale pende una richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti legata a un’indagine su presunte violazioni delle sanzioni imposte all’Iran, le polemiche rimbalzano su scala globale. Da una capitale all’altra.

La bufera Huawei

A suonare la carica contro Washington sono i media di Stato cinesi, a partire dal tabloid nazionalista Global Times, per cui quello statunitense è un “deprecabile approccio da canaglia”, mirato a fermare l’avanzata dell’azienda sul mercato del 5G. Sui social network asiatici, intanto, la musica non è troppo dissimile. Anche qui a tenere banco è il sospetto che dietro l’arresto ci sia un “gioco politico”. Come esplicita un utente su Weibo.

Circostanza, questa, smentita direttamente dal premier canadese Justin Trudeau, che ha precisato come il sistema giudiziario abbia agito “senza alcun coinvolgimento politico o alcuna interferenza”. Ma anche dal consulente commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, che alla Cnn ha parlato dell’arresto e dei negoziati commerciali in corso tra i due paesi come di due questioni “totalmente separate”.

Trump dice sì ai colloqui con la Cina

Lo stesso Trump, senza aggiungere altro, ha d’altra parte twittato che “i colloqui con la Cina stanno andando molto bene!”. Con tanto di punto esclamativo. Non pare però persuaso il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Il quale in conferenza stampa in occasione del 25esimo Consiglio ministeriale dell’Osce a Milano ha definito l’arresto di Wanzhou “inaccettabile”. Parlando di un “atteggiamento di grande arroganza” degli States.

Una polemica globale

Ad allargare il campo della discussione in atto anche all’Europa è intanto il vice presidente della Commissione Ue, Andrus Ansip, con un’uscita che difficilmente l’azienda cinese avrebbe potuto attendersi. Quantomeno in una forma così esplicita.

“In realtà non sappiamo molto di questo caso concreto, ma in quanto persone comuni dovremmo essere preoccupati”, ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa il politico estone, esprimendo viva preoccupazione per il fatto che aziende cinesi siano chiamate a collaborare con l’intelligence, inserendo “backdoor obbligatorie” nei loro prodotti, cioè sistemi che consentano l’accesso ai dati – e quindi “ai nostri segreti” – da parte delle autorità.

Non si è ovviamente fatta attendere troppo la replica diretta di Huawei, che si è definita “sorpresa e delusa”, respingendo categoricamente ogni accusa per cui rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza.

La posizione della Francia

Dal vecchio continente, ad ogni modo, si leva anche una voce in favore della società di telecomunicazioni di Shenzhen. Quella del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, per cui Huawei ha “un posto importante in Francia” e “i suoi investimenti sono benvenuti”.

Sempre sul fronte europeo, stando a quanto riferisce il Financial Times, l’azienda avrebbe intanto accettato le richieste dell’intelligence britannica in merito ad attrezzature e software, per evitare di finire esclusa dai piani nazionali per il 5G.

La linea dura di Tokyo

Mentre la situazione si farebbe più critica in Giappone: secondo i media locali il governo di Tokyo potrebbe a breve vietare alle sue amministrazioni l’utilizzo di attrezzature di Huawei e Zte. Dovrebbe però farlo senza citare direttamente le due aziende, scrivono i giornali nipponici, per evitare un incidente diplomatico con Pechino.

di Marco Valsecchi

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