GRAZZANISE – Le collaborazioni con la giustizia, gli ergastoli, l’età che avanza: i boss che avevano messo in piedi il clan dei Casalesi dopo aver detronizzato Antonio Bardellino e sodali ormai sono fisicamente fuori gioco. E così, a tenere in mano le fila dell’organizzazione, è toccato ai boss che sono riusciti a evitare l’ergastolo e alle seconde linee. È questo il contesto in cui ha operato Antonio Mezzero. Tornato in libertà nel luglio del 2022, l’idea di cambiare vita, stando a quanto emerso nell’indagine, non lo ha minimamente sfiorato. Risultato? Facendo leva sui suoi trascorsi criminali, approfittando dell’assenza degli altri mafiosi di rilievo, lui, storicamente legato al Basso Volturno (anche se recentemente trasferitosi a S. Maria Capua Vetere), ha provato a fare da collante tra i rappresentanti mafiosi attivi in altre aree della provincia di Caserta. Con quale obiettivo? Rimettere ordine nel clan e rivitalizzarlo. Con chi si sarebbe interfacciato? Pietro Ligato, figlio del boss (deceduto) Raffaele, presente nella zona di Pignataro Maggiore; Elio Diana di Casal di Principe, cognato di Francesco Schiavone ‘Cicciariello’; Nicola Del Villano, uomo di Michele Zagaria ‘Capastorta’, che ha sempre fatto base a Cancello Arnone; Giovanni Diana, cognato di Salvatore Nobis ‘Scintilla’, attivo nella zona di Francolise; Pasquale Apicella, che recentemente, ipotizza la Dda, ha messo radici a Villa Literno; e Carmine Zagaria, fratello di ‘Capastorta’. Seppur menzionati dalla Dda, Elio Diana, Del Villano e Apicella non sono nell’elenco degli indagati.
Chi, secondo l’Antimafia, era il braccio destro di Antonio Mezzero era Davide Grasso, di S. Maria La Fossa, con alle spalle una lunga detenzione in carcere per reati di mafia. Su mandato del boss di Brezza, si occupava di organizzare e coordinare gli altri soggetti dediti alla commissione di reati e anche di detenere armi. Uno degli esecutori degli ordini di Davide Grasso, invece, sarebbe stato Gianluca Fulgido (cognato di Del Villano). E quest’ultimo, sostiene l’accusa, si sarebbe prestato anche a picchiare Vincenzo Addario, imprenditore delle luminarie, su mandato di Mezzero, mediato da Grasso. Per quale ragione? Andava punito perché l’uomo d’affari aveva contratto un debito con una persona ritenuta vicina al sodalizio che non voleva onorare e anche perché aveva “speso indebitamente il ‘nome’ dello stesso Antonio Mezzero”. Mezzero, storicamente, va considerato un uomo degli Schiavone, ma a dimostrare lo spessore mafioso che lo caratterizza c’è la sua capacità di aver attivato un’ottima relazione anche con il padrino Michele Zagaria (che con il territorio dei Mazzoni, fino al 2009, aveva avuto poco a che fare). Un’eterogeneità di rapporti criminali che lo rendeva e rende, con tutti i boss di primo livello in cella o pentiti, una figura da monitorare con costanza. Riflessione che avevamo fatto e scritto nel 2022, quando scrivemmo della sua scarcerazione e che, tristemente, si è rivelata reale. Ma la sua azione criminale è stata fermata proprio perché i carabinieri hanno tempestivamente iniziato a monitorarlo non appena è tornato a essere un uomo libero. Libertà che è tornato a perdere ieri.
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