CASAL DI PRINCIPE – Sono icone del male, figure che hanno generato sofferenza e mortificato la terra in cui sono nati: parliamo di Francesco Sandokan Schiavone, Cicciotto ‘e mezzanotte, al secolo Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone Cicciariello, Michele Zagaria Capastorta e Antonio Iovine ‘o ninno. Ma per ciò che resta del clan dei Casalesi, con i suoi nuovi approcci criminali e con le sue nuove forme, sono il passato: rappresentano e continueranno a rappresentare dei simboli, ma, tra ergastoli da scontare al 41 bis, dissociazioni e collaborazioni con la giustizia, la loro incidenza fisica nell’attuale scenario mafioso è pari a zero. Il posto che occupavano, stando alle recenti indagini della Dda di Napoli, è stato preso dalle nuove leve (discorso a parte va fatto per gli Zagaria).
A rappresentare il gruppo che faceva riferimento a Sandokan ora ci sarebbe Emanuele Libero Schiavone. La compagine sanciprianese, invece, per l’Antimafia è diretta da Emilio Martinelli, figlio del boss Enrico. La cosca Bidognetti, infine, ha come leader Gianluca Nanà, il più piccolo della famiglia di Cicciotto ‘e mezzanotte. Sarebbero loro i nuovi leader delle principali cosche del clan e tutti e tre, ad oggi, sono in prigioni lontane dalla Campania.
La loro permanenza in carceri vicine al territorio dove hanno base le loro organizzazioni criminali di appartenenza rappresenterebbe un rischio che il Dipartimento di polizia penitenziaria non vuole correre: potrebbero intrattenere rapporti con soggetti che orbitano nei loro stessi ambienti mafiosi e attivare una filiera che minerebbe gli sforzi fatti dagli investigatori per tenerli in condizioni di non nuocere. E così sono stati spediti tutti fuori regione. Di Emanuele Libero Schiavone, portato da Secondigliano a Taranto, abbiamo già scritto. Recentemente è stato trasferito dal carcere di S. Maria Capua Vetere a quello di Lecce Martinelli. Il figlio di Sandokan e quello di Enricuccio si trovano reclusi nei reparti di alta sicurezza. È al 41 bis, invece, Gianluca Bidognetti. Adesso è nella prigione di Spoleto. Quando si trovava a Terni, con i cellulari clandestini che circolavano al suo interno, secondo la Dda, era riuscito a dettare la linea al suo gruppo (condotta che gli ha causato una nuova condanna per associazione, in primo grado, a 12 anni, verdetto che allungherà, se dovesse diventare irrevocabile, la sua permanenza dietro le sbarre).
Per gli Zagaria, invece, il cambio generazionale c’era stato lo scorso decennio: quando con Michele Capastorta e i suoi fratelli erano in prigione, le redini dell’organizzazione passarono al nipote Filippo Capaldo. Adesso, invece, stando a quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, a rappresentare i vertici del gruppo sarebbero di nuovo alcuni dei germani di Capastorta.
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