S. MARIA CAPUA VETERE – Ottenere la licenza non è affatto scontato: per chi ci riesce si apre la possibilità di avviare un’attività che, se ben gestita, può generare guadagni importanti. Parliamo dei tabacchi, un settore il cui potenziale economico è stato ben compreso dalla criminalità organizzata. A dimostrarlo è l’indagine condotta dai magistrati della Dda, Maurizio Giordano e Roberto Patscot: i due pm sostengono che un soggetto, ritenuto collegato al clan Amato, avrebbe acquisito il controllo di tre tabaccherie attraverso svariate operazioni commerciali realizzate tra il 2016 e il 2022.
In relazione a questa indagine, condotta dai carabinieri della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere, dal Nucleo investigativo di Caserta e dai finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria, la Direzione distrettuale antimafia ha messo sotto indagine sette persone, per le quali ha chiesto il rinvio a giudizio.
Chi sono? Simmaco Maio, 56enne di Santa Maria Capua Vetere; Luigi Maisto, 54enne, anch’egli originario di Santa Maria ma residente ad Assisi; Giuseppe Papale, 56enne; Luigi Papale, 36enne; Giovanna Enza Fiano, 41enne, tutti di Santa Maria; Caterina Maisto, 38enne di Caserta; e Franca Raucci, 51enne di Capua. Agli imputati viene contestato il reato di trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante mafiosa.
Uno dei tabacchi finiti sotto la lente dell’Antimafia è quello di via Regina Elena, a Bellona. Caterina Maisto, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, dopo aver costituito una ditta individuale, con l’ausilio di Giuseppe Papale e Luigi Maisto, avrebbe gestito l’esercizio commerciale situato nell’Agro caleno tra il 2018 e il 2020, riversando gli utili a Simmaco Maio, ritenuto il vero titolare. Se quest’ultimo lo aveva formalmente affidato alla Maisto, dice l’accusa, era per eludere eventuali misure di prevenzione, dato che aveva riportato una condanna in appello (non definitiva) per concorso in associazione mafiosa .
Il secondo tabacchi che ha richiamato l’attenzione di carabinieri e guardia di finanza è quello di via Galatina a Santa Maria. In questo caso a intestarselo, dice la Dda tra il 2017 e il 2020, sempre per conto di Maio, sarebbe stato Pasquale Maisto, che lo avrebbe gestito con il supporto di Giuseppe Papale, Successivamente, a occuparsene sarebbe stata Fiano, cognata di Maio.
Terza e ultima attività nel mirino dell’Antimafia è il tabacchi di via del Lavoro, a Santa Maria Capua Vetere. In questo caso, a costituire la società che gestiva l’attività commerciale è stato Luigi Papale, con l’aiuto del padre Giuseppe. Anche qui, secondo l’accusa, gli utili venivano versati a Simmaco Maio.
La Dda sostiene che Maio avrebbe usato parte dei proventi per rifornire le casse del clan dei Casalesi.
A parlare di questo business sono stati anche i collaboratori di giustizia Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco Sandokan, e Ferdinando Del Gaudio, ex esponente della famiglia criminale dei Bellagiò. A decidere se dare il via al processo per i sette – da ritenersi tutti innocenti fino a eventuale sentenza di condanna irrevocabile – sarà il giudice Maria Rosaria Battaglia del Tribunale di Napoli.
Nel collegio difensivo gli avvocati Angelo Raucci, Delfo Berretti e Rosario Avenia.
Il legame con gli amato
La fornitura di slot truccate e schede clonate: è con questo che, secondo l’accusa, Simmaco Maio, il reale titolare dei tra tabacchi attenzionati dalla Dda, avrebbe dato il suo apporto al clan Amato. Un’attività che, tra il 2007 e l’inizio del 2008, avrebbe permesso al gruppo camorristico di truffare il Monopolio di Stato e consolidare il proprio potere economico, imponendo le ‘macchinette”’in numerosi locali del Casertano con l’utilizzo di metodi estorsivi. Per questa vicenda (non direttamente connessa a quella dei ‘tabacchi’), la Corte d’appello lo aveva condannato a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, riconoscendogli un ruolo di ‘collaboratore tecnico’ consapevole delle logiche criminali del clan. Ma la Cassazione, lo scorso ottobre, ha annullato nuovamente la sentenza, disponendo un nuovo giudizio davanti a un’altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Secondo i giudici romani, non è stato dimostrato che Maio fosse consapevole della natura mafiosa del sodalizio, né che il suo apporto fosse volontario e finalizzato a rafforzarlo. Inoltre, è stata rilevata una discrasia temporale tra i fatti contestati (2007-2008) e l’imputazione associativa (dal 2009), che incide sul diritto di difesa. La Corte ha anche evidenziato che le sentenze precedenti non hanno risposto in modo adeguato alle obiezioni della difesa, secondo cui l’imprenditore era attivo da anni con la propria azienda, autonoma e operante a livello nazionale, e si era allontanato da contesti criminali.
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