Il boss Cacciapuoti e il delitto Mauro, il processo si chiude con l’assoluzione  

Decisive le incongruenze che sono emerse nella testimonianza di Caianiello. L’omicidio avvenne nel 1992 a Grazzanise. La sentenza di secondo grado per Cacciapuoti

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Il boss Alfonso Cacciapuoti e Raffaele Caianiello, collaboratore di giustizia

GRAZZANISE – Era il 6 gennaio 1992: Vincenzo Mauro venne assassinato in via Annunziata. I killer lo freddarono mentre era seduto su una sedia, con la spalliera poggiata sul petto, all’ingresso del tabacchino. Era tempo di faida: da un lato il clan dei Casalesi, dall’altro i mafiosi legati alle altre organizzazioni che Francesco Schiavone e compagnia volevano spazzare via. E in quest’operazione criminale di repulisti, sostiene la Dda, rientrò pure Mauro. Un delitto a cui, secondo l’accusa, aveva partecipato anche Alfonso Cacciapuoti, all’epoca giovane schiavoniano. Ma ieri, la seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli lo ha assolto dalla pesante contestazione.

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Era la terza volta che il processo a suo carico sul delitto Mauro approdava dinanzi ai giudici di secondo grado: già in due occasioni, infatti, la Cassazione aveva annullato quanto disposto dalla Corte partenopea e rinviato gli atti a una nuova sezione. Un iter giudiziario lunghissimo che si è concluso con la procura generale che, sposando la tesi dell’avvocato dell’imputato, il legale Angelo Raucci, ha chiesto una sentenza di non colpevolezza. E i giudici così hanno fatto. Fondamentale è stata la possibilità di interrogare di nuovo in Appello i testimoni chiave del processo, ovvero il collaboratore di giustizia Raffaele Caianiello e un suo cugino.

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Se sono stati disposti e affrontati i loro esami e controesami in aula, è perché con la riforma Cartabia, quando in secondo grado c’è un ricorso che punta a ribaltare la sentenza di primo grado della Corte d’assise, è necessario risentire i principali testimoni. Caianiello dinanzi ai giudici ha reso dichiarazioni a tratti discordanti con quelle rese in passato. Il pentito, che aveva il compito di recuperare i killer dopo l’agguato, ha riferito di non aver seguito l’auto del commando fino al tabacchino, ma di essersi fermato a parlare con il cugino all’incrocio con via Oberdan, da dove a suo dire avrebbe tenuto d’occhio la situazione. I

n primo grado, invece, disse che, dopo aver salutato il cugino, aveva proseguito la sua marcia verso il luogo del delitto. La difesa di Cacciapuoti, facendo evidenziare anche questa contraddizione, è riuscita a ottenere l’assoluzione per l’imputato. Cacciapuoti è tornato in libertà nell’estate del 2023: complessivamente ha trascorso in cella oltre 30 anni di prigione, perché condannato per associazione (in quanto capozona del Basso Volturno) e svariate estorsioni.

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