CASERTA – Un colpo mortale al cuore economico del clan. Si è conclusa oggi, con la confisca definitiva di un patrimonio stimato in 6 milioni di euro, la parabola criminale di un noto imprenditore casertano, considerato dagli inquirenti una figura chiave, una cerniera tra il mondo dell’imprenditoria legale e gli interessi del temibile clan “Belforte” di Marcianise. La Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ha eseguito il provvedimento, reso inappellabile da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, ponendo i sigilli su un impero costruito sul calcestruzzo e, soprattutto, sull’intimidazione mafiosa.
L’operazione odierna rappresenta l’atto finale di un lungo e meticoloso percorso investigativo che ha permesso di svelare la “pericolosità qualificata” dell’uomo. Non un semplice imprenditore vittima del racket, ma un complice attivo, un facilitatore, un ingranaggio fondamentale nel sistema estorsivo del clan. Le indagini della DIA hanno meticolosamente ricostruito non solo l’enorme sproporzione tra i redditi dichiarati e il reale patrimonio accumulato, ma anche la sua piena organicità al sodalizio criminale, già emersa in pregresse inchieste.
Il meccanismo criminale, accertato nel 2014 da un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, era tanto semplice quanto diabolico e si basava sulla sua azienda, attiva nella produzione e trasporto di calcestruzzo. L’imprenditore agiva come un vero e proprio “esattore” per conto del clan, utilizzando due metodi principali per riscuotere il pizzo. Il primo, più subdolo, era quello della sovrafatturazione: le imprese edili che si rifornivano da lui vedevano i costi delle forniture gonfiati ad arte. La differenza tra il valore reale della merce e l’importo fatturato veniva poi stornata per creare fondi neri, provviste occulte destinate a finire direttamente nelle casse dell’organizzazione per il pagamento delle estorsioni.
Il secondo metodo era ancora più diretto. L’imprenditore sfruttava la sua posizione e la sua reputazione per organizzare incontri tra gli imprenditori da estorcere e gli esponenti di spicco del clan. Diventava il mediatore del terrore. Il sistema era talmente collaudato e “affidabile” che, in un’inquietante distorsione della realtà, erano le stesse vittime a rivolgersi spontaneamente a lui. Sapevano che per continuare a lavorare in pace dovevano “mettersi a posto”, e lui era l’uomo che poteva indicare i referenti giusti del clan da contattare, trasformando la sua azienda in una sorta di sportello unico per il pizzo. Le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia sono state pietre miliari per blindare il quadro accusatorio.
Il provvedimento odierno conferma il sequestro che era già stato eseguito nel 2017 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su proposta congiunta del Procuratore della Repubblica di Napoli e del Direttore della DIA. Lo Stato si riprende così definitivamente un patrimonio ingente: due quote societarie di imprese operanti nel settore immobiliare e, ovviamente, nel commercio di calcestruzzo; ben 34 fabbricati e 2 terreni, tutti ubicati nella provincia di Caserta, oltre a numerosi rapporti finanziari e bancari.
Questa operazione si inserisce nella più ampia e strategica attività di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata. Colpire le mafie nel portafoglio, prosciugandone le risorse economiche, significa minarne alla base la capacità operativa e di controllo del territorio, tutelando al contempo la parte sana del tessuto economico nazionale, che ogni giorno lotta per affermare i principi di legalità e libera concorrenza.





















