CASERTA – Da luoghi di riabilitazione sociale a palestre criminali: è la deriva delle prigioni italiane. Il sistema carcerario, pur privandoli della libertà, in molti casi dimostra di non riuscire a impedire ai detenuti di continuare a delinquere. A darne conferma le numerosissime indagini che, accendendo i riflettori sui penitenziari, hanno documentato (e lo stanno ancora facendo) come al loro interno si spacci droga, circolino clandestinamente telefonini e si stringano patti malavitosi (che incidono sulle strutture criminali attive all’esterno delle sbarre).
E ieri, l’ennesima attività investigativa incentrata proprio sul pianeta carcere, coordinata dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, è riuscita a tracciare un fiorente commercio di narcotici nella casa di reclusione ‘Giovan Battista Novelli’ a Carinola. Un’inchiesta complessa, che ha convinto il giudice Rosaria Dello Stritto a emettere 9 misure cautelari. Per cinque indagati è stato disposto il carcere: si tratta di Beniamino Cipolletta, Olindo Cipolletta, Angelo Morgillo, Emilio Di Monda e Ivan Ponticelli. Altri quattro sono finiti ai domiciliari: Antonietta Bruno, Lucia Esposito, Maria Limatola e Patrizia Esposito.
L’inchiesta, condotta dal Nucleo investigativo della polizia penitenziaria di Napoli, sotto la guida del procuratore Pierpaolo Bruni, ha coinvolto a piede libero anche altre 30 persone. Il lavoro degli agenti ha raccolto elementi che, sostiene l’accusa, hanno consentito la ricostruzione di una serie di cessioni di stupefacenti all’interno del Novelli, business controllato da alcuni dei detenuti indagati grazie all’apporto dei loro familiari che operavano all’esterno della prigione.
Questi ultimi svolgevano un ruolo fondamentale, dato che erano loro a fare entrare nella casa di reclusione lo stupefacente. Come? Durante i colloqui oppure nascondendo la droga (hashish o cocaina) nei pacchi che venivano indirizzati ai detenuti. E questi sistemi venivano usati anche per consegnare ai reclusi i telefonini o i tablet. Il lavoro degli agenti ha portato all’individuazione anche di carte Postepay che spesso custodivano i familiari di chi, in carcere, avrebbe gestito la droga. Su quelle prepagate, sostiene la Procura, arrivavano i soldi che gli acquirenti dei narcotici in prigione disponevano (direttamente o attraverso i loro congiunti) per pagare i pusher.
Altro sistema per pagare la droga, è stato documentato, erano i pacchetti di sigarette. A strutturare la tesi investigativa sono state non solo le intercettazioni telefoniche, ma anche il monitoraggio degli incontri in prigione tra reclusi e familiari e le numerose perquisizioni svolte dagli agenti della penitenziaria che hanno portato al ritrovamento di centinaia e centinaia di grammi di narcotici nelle celle degli indagati.
L’indagine si trova ancora nella sua fase preliminare e i coinvolti, accusati a vario titolo di aver partecipato, con ruoli diversi, a questo smercio di stupefacenti e di aver usato indebitamente telefonini mentre erano in cella, sono tutti da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo, tra gli altri legali impegnati, figurano anche gli avvocati Domenico Dello Iacono, Luigi Marrandino e Nello Sgambato
Le segnalazioni su Morgillo
È stata una segnalazione della polizia penitenziaria della casa circondariale di Benevento a innescare l’indagine condotta dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Il 27 gennaio 2023, gli agenti misero nero su bianco che Angelo Morgillo era dedito, nel carcere sannita, allo smercio di stupefacenti. Una nota che venne inviata alla direzione del penitenziario di Carinola, dove da poco il giovane era stato trasferito. In questo documento gli investigatori inserirono anche il resoconto di alcune intercettazioni da loro captate: in quelle conversazioni Morgillo diceva che stava continuando il suo business connesso ai narcotici e che in soli 15 giorni era riuscito a guadagnare circa 3mila euro.
Una notizia di reato che, per competenza territoriale, venne all’attenzione della Procura di S. Maria Capua Vetere. E proprio gli inquirenti samaritani l’hanno sviluppata, dando origine al procedimento che ieri ha fatto scattare i 9 arresti.
Il business controllato da tre pusher
Sono tre gli indagati intorno ai quali, sostiene la Procura, ruotava la presunta attività di spaccio emersa tra gennaio e agosto 2023 nel carcere di Carinola. Uno di loro è Angelo Morgillo. Secondo gli investigatori, riceveva la droga da smerciare nel prigione dalla convivente, Lucia Esposito, o dalla madre, Antonietta Bruno. In alcune circostanze, inoltre, avrebbe passato alla nonna Pasqualina Elia o alla madre, nel corso dei colloqui, stecche di sigarette che finivano a Olindo Cipolletta come contropartita della vendita della droga tra le sbarre.
Custode di questa droga venduta tra le sbarre, ritengono gli inquirenti, era Beniamino Cipolletta, nella cui cella, nel corso di alcune perquisizioni, sono stati trovati dai poliziotti sei panetti di hashish e 200 grammi di cocaina, oltre 50-60 stecche di sigarette ritenute provento dello smercio di stupefacenti.
Il secondo presunto pusher sarebbe Emilio Di Monda. A chiudere il terzetto, dice l’accusa, Ivan Ponticelli, che avrebbe ricevuto droga dalla moglie, Patrizia Esposito, nel corso dei colloqui. E la donna, per il lavoro svolto, avrebbe ottenuto, sostiene la Procura, mille euro dal consorte.
A rispondere di detenzione ai fini di spaccio di droga, c’è anche Maria Limatola, perché utilizzatrice di una Postepay dove riceveva dai familiari dei detenuti acquirenti le somme di denaro inerenti le cessioni per conto di Beniamino Cipolletta. Pure a Ilaria Buonincontr è contestata la partecipazione al business della droga perché si sarebbe interessata alle vicende relative allo spaccio nel carcere, arrivando a minacciare i familiari di Lucia Esposito, che si erano rifiutati di importare droga durante i colloqui con il marito Morgillo. L’inchiesta ha tirato in ballo, inoltre, Benito Di Tommaso e il già citato Beniamino Cipolletta in relazione all’accusa di minaccia, perché avrebbero aggredito, il 28 maggio 2023, un detenuto. Gli altri indagati (presenti nella tabella) sono sotto inchiesta per l’uso del cellulare in carcere senza autorizzazione.

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