MARCIANISE – Il clan dei Mazzacane è ancora attivo sul territorio: a metterlo nero su bianco è stata la settima sezione della Cassazione. Ha certificato la vitalità della cosca quando, nelle scorse settimana, è stata chiamata a valutare la richiesta di Domenico ‘Mimì’ Belforte, il capo della compagine mafiosa, tesa ad ottenere l’annullamento del carcere duro a cui è sottoposto.
Il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva già prorogato l’anno scorso il 41 bis per il boss. Per quale ragione? Analizzando le relazioni di investigatori e inquirenti, aveva evidenziato la capacità di Domenico Belforte di poter mantenere i rapporti con gli altri affiliati (anche in relazione al suo ruolo apicale ricoperto nel gruppo). La Sorveglianza aveva sottolineato pure la mancata evoluzione “del tutto positiva del percorso detentivo” di Belforte, “punteggiata da numerosi rapporti disciplinari”. Il tutto aveva spinto il Tribunale a ritenere ancora viva la pericolosità sociale di Mimì Belforte e a rendere necessario il 41 bis: se fosse stato sottoposto ad un regime detentivo più leggero sarebbe entrato in contatto con gli esponenti della sua cosca.
Gli avvocati nel ricorso presentato in Cassazione avevano tentato di far leva, per ottenere lo stop al carcere duro, sulla volontà di dissociarsi manifestata dal loro assistito da contesti criminali. Ricostruzione che però, ha spiegato la Suprema corte, cozza con gli elementi indicati nell’ordinanza della Sorveglianza che raccontano, invece, di “un’attività diretta a fornire indicazioni al figlio in occasione di un colloquio oggetto di intercettazione ambientale, in vista della realizzazione di una condotta estorsiva ancora nel 2017”. La Cassazione, confermando la tesi della Sorveglianza, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Sorveglianza.
Anche Salvatore Belforte, fratello di Domenico, con alle spalle un percorso di collaborazione con la giustizia, recentemente si è rivolto alla Cassazione. Per quale ragione? Ha presentato ricorso contro il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino che aveva respinto la sua istanza di differimento della pena per grave infermità. Ma avendo presentato l’istanza alla Suprema Corte personalmente, l’istanza è stata dichiarata inammissibile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA