Non bastava lo scontro tra Russia e Ucraina. Sabato scorso, Hamas, che controlla l’enclave costiera di Gaza, ha lanciato una raffica di razzi e ha inviato uomini armati in Israele. Ne parla con Cronache il generale Carmelo Burgio, Croce d’oro al merito dell’Arma dei carabinieri. Burgio ha intrapreso il cammino che lo ha portato ai massimi livelli istituzionali all’inizio degli anni ’70, frequentando la Nunziatella di Napoli. Uno tosto, Burgio, che ha lavorato nei territori più “caldi”, dalle guerre in Medioriente alle zone del nostro paese oppresse dalla presenza della criminalità organizzata più spietata e violenta.
Dal 1980, nel 1982 è stato a Beirut per la missione Libano2. È stato Comandante di Sezione del Gis e, quindi, vicecomandante del Gruppo di Intervento Speciale. Dal 1985 al 1987 è stato impegnato presso il Nucleo Carabinieri Presidenziale, nei servizi di scorta al presidente della Repubblica Francesco Cossiga. È stato anche comandante per 4 anni del battaglione CC Paracadutisti (impiegato nell’operazione Alba in Albania, e nella missione IFOR e SFOR in Bosnia).
A fine 2003 è Comandante del Reggimento Multinational Specialized Unit in Iraq. Arrivò sul posto una settimana prima dell’attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003, proprio in vista del suo insediamento. È stato dal dicembre 2004 Comandante Provinciale Carabinieri a Caserta fino al 2008. Capo del I e poi del III Reparto alla Direzione Investigativa Antimafia, e ha guidato la prima brigata mobile. Nel 2010 Afghanistan ha comandato il Gruppo consultivo di addestramento combinato (Ctag-p) della polizia, in ambito Nato.
Generale Burgio, ha avuto modo di lavorare in periodi diversi, nel corso della sua carriera, in scenari di guerra. Che idea si è fatto?
È un conflitto insanabile. Gli israeliani chiamano Israele il loro paese, i palestinesi Palestina. E il territorio è lo stesso. Vogliono la stessa terra. Una tensione che dura da troppi anni. Ma il contesto che ora la ospita rispetto al passato è notevolmente cambiato.
I paesi che circondano Israele non hanno più interesse ad attaccarlo.
Cioè?
La Giordania non è intenzionata ad agire, anche se parte del suo popolo continua a chiamare Palestina ciò che si trova al di là del fiume. L’Egitto è diventato addirittura un alleato di Israele. La Siria è alle prese con innumerevoli problemi interni che non la mettono in condizione di attivarsi. Però, bisogna evidenziare anche un altro dato.
Quale?
Il 20 percento di chi vive in Israele è arabo. Quindi c’è anche un potenziale attacco dall’interno da considerare.
Giordania, Siria, Egitto. Tutti disinteressati. Non c’è nessun altro che potrebbe parteggiare per Hamas?
Bisogna capire che intenzione ha l’Iran. Come ho detto prima, è uno scenario che ha avuto modo di toccare con mano…
Ci sono stato tra il 2018 e il 2019. Da generale di divisione avevo ricevuto l’incarico di verificare se la polizia palestinese fosse in grado di gestire l’ordine pubblico. Negli Usa la politica dei repubblicani è stata sempre più tesa a guardare all’interno dei propri confini. Con Trump presidente, per risparmiare, aveva avviato un’azione di richiamo delle truppe dislocate all’estero. E voleva ritirarle anche da Israele. La comunità internazionale, però, aveva creato una commissione che avrebbe dovuto verificare le capacità delle forze palestinesi di tenere l’ordine prima che gli Usa lasciassero la zona. Venni messo al vertice di questo team. Ci furono due anni di ispezioni, poi con la sconfitta di Trump alle elezioni la situazione cambiò.
E cosa emerse da quelle ispezioni?
Le forze palestinesi sarebbero state anche in grado di tenere l’ordine pubblico, il problema era ed è un altro: le condizioni in cui si trovano i territori occupati. Non bisogna pensare che la Cisgiordania sia stata data serenamente ai palestinesi. Gaza ha la sovranità su 8 entità cittadine, ciascuna delle quali circondata da un muro di 15 metri, di cemento armato, con torrette presidiate da israeliani. Chi le abita, per muoversi da un posto all’altro, è soggetto a permessi degli israeliani. Sono loro che controllano i varchi, che decidono quando e quali aprire. Non mi fraintenda, dico questo non per affermare che gli israeliani sono cattivi e i palestinesi i buoni. Basta dare un’occhiata alle immagini diffuse dai telegiornali per vedere la crudeltà che si vive in quei territori. Ha tracciato questo spaccato per dire che considerate queste condizioni, è davvero impossibile immaginare che il conflitto possa finire con un pacifico punto d’intesa.
So che sbilanciarsi ora è difficile. Ma ha un’idea su come si concluderà?
Se Hamas è da sola, non potrà vincere. E’ probabile, ed è uno degli scenari possibili, che Israele prenda il sopravvento. Che inizi a bombardare anche i palestinesi che non vogliono la guerra e così questi ultimi si scuoteranno, isoleranno i belligeranti, e finirà la partita. Ma non credo che Hamas abbia iniziato questa guerra in solitudine.
Si riferisce all’Iran?
Potrebbe esserci lui dietro. Non è da escludere. Non si spiegherebbe, in caso contrario, questa azione. Anche se già i palestinesi hanno dato prova di agire senza schemi, solo per creare tensione, per togliere sicurezza al popolo israeliano.
Soli o in compagnia, di certo hanno molte armi su cui contare.
Me ne ero già accorto nell’82, quando partecipai alla prima missione delle truppe italiane all’estero. Avevano arsenali superiori anche ad alcune nazioni occidentali. Se avessero investito quel denaro in infrastrutture, per promuovere l’istruzione, per migliorare la sanità…
C’è il pericolo che il conflitto possa degenerare e coinvolgere altri Paesi?
Per anni la politica internazionale si è mossa con l’obiettivo di garantire che le armi nucleari fossero nelle mani di poche nazioni. Usa, Russia… Adesso, invece, sono armi che hanno a disposizione India, Cina e probabilmente l’Iran. E con stati proprio come l’Iran trattare è quasi impossibile. C’è una teocrazia. Quando si siedono ad un tavolo gli occidentali parlano di grandezze negoziabili. Con l’Iran è diverso. Sostengono che c’è solo la parola di Dio e che va rispettata. Punto. Non è negoziabile. Con territori che hanno quella cultura può accadere di tutto.
Israele stavolta si è fatto trovare impreparato. Da militare, che idea si è fatto?
Tutti possono fallire. Anche i servizi segreti israeliani. Sono sicuro che adesso spunteranno fuori le teorie dei complotti dicendo che si sono fatti attaccare di proposito, per riaccendere il conflitto. Nessuno ha piacere di vedere il suo popolo martoriato dalle bombe.
E cosa succederà adesso?
Israele non perdonerà. Non porgerà l’altra guancia. Il perdono, come lo intendiamo noi, è un concetto cristiano. Israele reagirà. Si stanno scontrando due popoli dove è radicata la legge del taglione. Occhio per occhio…
L’Italia potrà avere un ruolo decisivo per tentare di far tornare la serenità in Medio oriente?
Sarebbe un grande prestigio per la nazione, ma credo che Israele e Palestina cercheranno altre sponde. Interverranno nazioni che riusciranno a far sedere tutti intorno allo stesso tavolo perché hanno un peso contrattuale maggiore del nostro.
A chi si riferisce?
Logicamente parlo di Usa, Russia. Ma anche la Turchia. E si è fatta sentire pure la Cina dicendo: a noi questa guerra non piace.
L’Italia potrebbe essere l’avamposto dell’Europa se intenzionata a fare da regia ad una trattativa…
Ma l’Europa finora non si è dimostrata all’altezza quando è stata chiamata ad affrontare situazioni critiche. Israele è una grande democrazia. C’è al suo interno uno scontro politico sempre forte tra colombe e falchi. E sotto attacco il Paese riesce ad unirsi: dà prova di compattezza. Se accadesse a qualche stato dell’Ue reagiremmo allo stesso modo? Non lo so.
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