Il “Modello Caivano” per le altre periferie d’Italia, governo al lavoro

In Parlamento dibattito sul piano stilato dal governo Meloni e sulla sua applicabilità a contesti diversi da quello dell’hinterland napoletano. Battilocchio (FI) e Montaruli (FdI): schema esportabile. Iaria (5S): utile solo in caso di emergenza.

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In occasione della Giornata nazionale delle periferie, si accende il dibattito politico e istituzionale sul futuro delle aree più fragili e dimenticate delle nostre città. Al centro dell’attenzione c’è il cosiddetto “Modello Caivano”, esempio di intervento integrato portato avanti dal Governo Meloni e già esteso ad altre sette realtà italiane. A guidare il confronto è Alessandro Battilocchio, deputato di Forza Italia e presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle periferie.

“Ogni periferia ha le sue peculiarità – ha dichiarato Battilocchio – ma sono convinto che quanto fatto a Caivano rappresenti un modello d’azione esportabile. Interventi mirati, risorse dedicate, governance efficace e sinergia con gli enti locali, uniti a un presidio rafforzato delle forze dell’ordine, sono gli ingredienti di un approccio che funziona”. Ma avverte: “La strada è ancora lunga. Ne parleremo in Commissione sia con il commissario Fabio Ciciliano, domani (oggi, ndr), che con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mercoledì 2 luglio. La direzione è quella giusta, ma serve continuità”.

Secondo Battilocchio, le priorità per rilanciare davvero le periferie italiane passano dal superamento delle “utopie urbanistiche del passato, che hanno generato disastri sociali e urbanistici”, fino a una nuova visione del concetto stesso di periferia: non più un luogo geografico marginale, ma una nuova forma di periferia sociale, spesso anche in pieno centro città. “Le risorse oggi ci sono come mai prima – ha sottolineato – ma la vera sfida è trasformarle in progetti duraturi e sostenibili. In 12 delle 14 città metropolitane che abbiamo visitato come Commissione abbiamo visto buoni progetti, ma bisogna fare di più”.

Sulla stessa linea, ma con toni più marcatamente politici, Augusta Montaruli (Fratelli d’Italia), che sottolinea come “il Governo stia già replicando il modello Caivano in altre sette periferie d’Italia. Un modello innovativo e integrato – afferma – reso possibile dall’azione decisa della premier Giorgia Meloni”. Per la parlamentare Montaruli, accanto alla presenza delle forze dell’ordine nelle aree di spaccio, è fondamentale agire anche contro le irregolarità abitative: “Serve disinnescare il meccanismo dell’affitto o subaffitto illecito favorito da amministrazioni assenti. Basta con i ‘ras delle soffitte’ che alimentano l’immigrazione clandestina e forme di autoriciclaggio”.

Più critica e alternativa la visione di Antonio Iaria, voce del Movimento 5 Stelle, che pur riconoscendo i meriti dell’intervento di Caivano, evidenzia le sue lacune strutturali: “E’ stato utile per affrontare un’emergenza, ma non è il mio modello di riferimento. Manca una progettualità chiara sul ‘dopo’. A Torino, con l’ex Moi, abbiamo gestito la più grande occupazione abusiva d’Italia senza l’uso della forza, ma con un piano preciso di rigenerazione”. Secondo Iaria, il vero rilancio delle periferie non può limitarsi al controllo del territorio o alla repressione, ma deve puntare sulla rigenerazione urbana attraverso la semplificazione burocratica e il riutilizzo intelligente degli immobili pubblici abbandonati.

“Serve favorire progetti ad alto impatto sociale – conclude – che combinino cultura, sport, servizi e anche un utilizzo economico privato per garantire la sostenibilità nel tempo. Più che fondi, serve un modello che liberi le energie delle comunità”. Il dibattito è dunque aperto e articolato. Tra chi vede nel “Modello Caivano” un esempio da esportare, chi lo considera un buon inizio ma incompleto, e chi spinge per soluzioni alternative più strutturali e meno emergenziali, resta forte una domanda di fondo: potremo mai parlare di un “Caivano Ter” come segnale di un piano nazionale davvero incisivo, duraturo e condiviso?

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