CASAL DI PRINCIPE – Un passaggio obbligato: per reinserirsi nelle dinamiche mafiose e contribuire a ristrutturare il clan, coinvolgere gli Zagaria era inevitabile. Antonio Mezzero doveva farlo e, secondo la Dda di Napoli, lo ha fatto. Come? Contattando chi del gruppo di Casapesenna indosserebbe ora i panni del leader: Carmine Zagaria, fratello del capoclan, ergastolano, Michele ‘Capastorta’. Il suo presunto ruolo di attuale riferimento della cosca è emerso nell’inchiesta, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta e di Grazzanise, tesa a fermare proprio l’avanzata di Mezzero, boss di Brezza.
Il mafioso, tornato in libertà nel luglio 2022, dopo aver trascorso in cella ininterrottamente quasi un quarto di secolo, si sarebbe subito attivato per rituffarsi nei business criminali. Oltre a prendere contatti con Elio Diana, cognato del boss Cicciariello, e Pasquale Apicella ‘o bellomm’, anche loro scarcerati dopo aver passato in prigione svariati anni (e tutti storicamente legati agli Schiavone), il malavitoso grazzanisano (che si era trasferito a S. Maria Capua Vetere) avrebbe dato mandato ai suoi sodali di contattare gli Zagaria, famiglia criminale a cui pure si era legato (e da cui avrebbe ricevuto denaro durante la sua precedente detenzione) per l’amicizia diretta che vantava con il capoclan Capastorta.
Il 19 marzo 2023 i carabinieri hanno intercettato una conversazione in cui Antonio Mezzero, in vista della degenza che avrebbe dovuto affrontare ad aprile (per un’operazione chirurgica), dice al nipote Michele Mezzero di recarsi presso il ‘compariello’ di Carmine (per gli investigatori si tratta proprio del fratello del capoclan Capastorta) ed esigere da lui somme di denaro: “Prenditi tu il caffè, inizia a dirglielo, mo che manda a dire lo stipendio, dobbiamo fare metà stipendio”.
Il giorno successivo, dando seguito a quanto disposto dal boss, sono il fratello Giuseppe e il già citato Michele a tentare di incrociare gli Zagaria. Qual era il punto per provare a parlare con loro? Gli uomini del clan sapevano che era facile intercettarli presso la profumeria ‘Parfum Store Estratti’, situata a San Marcellino, gestita da Gesualda Zagaria (sorella di Michele). I Mezzero si mettono in auto alla ricerca di quel negozio e dopo essersi fatti dare, al telefono, delle indicazioni, riescono a individuarlo: “Vedi vicino cosa sta scritto ‘Parfum’”, dice Michele allo zio. “Vicino sta il barbiere”. Ma non era aperto. “È chiuso già”, sbotta Giuseppe Mezzero tra varie bestemmie.
Che l’obiettivo fosse parlare con Carmine viene esplicitato in una conversazione successiva tra Michele Mezzero e Davide Grasso, di Santa Maria La Fossa, ritenuto dalla Dda il braccio operativo del boss di Brezza. “Andai a San Marcellino, entrai nella macelleria e dissi -, racconta Michele a Grasso -: ‘Buonasera, scusate, ma questo negozio di profumeria sta chiuso?’ ‘Sono dieci, quindi giorni – la risposta – , anche di più”. Il fossataro gli chiede chi stava cercando: “Carminuccio”, chiarisce il nipote di Mezzero.
Stando a quanto i due si raccontano, l’urgenza di coinvolgere il fratello di Capastorta era perché proprio il mafioso di Brezza voleva dare una nuova struttura al clan. A esplicitare il disegno criminale è sempre Michele: “Disse (lo zio, ndr) vai là (da Zagaria) e digli che deve venire subito e basta. Disse, da adesso quello che si fa, quello che si fa dobbiamo dividere io, lui (Carmine Zagaria, ndr) e quello che sta per venire (Alfonso Cacciapuoti, che era prossimo alla scarcerazione, ndr)”. L’attesa per la scarcerazione di Cacciapuoti è emersa anche in un altro colloquio con Elio Diana: “Alfonso – dice Mezzero allo schiavoniano – ci vuole bene. […] Aspettiamo che si libera qualche altro amico buono e buttiamo le mani”.
Questo spaccato, per i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, coordinati dalla Dda, contribuisce a dimostrare la volontà del mafioso di Brezza di reinserirsi nelle dinamiche mafiose, fino ad arrivare a controllarle, e che ad aiutarlo in questo progetto erano soprattutto il fratello Giuseppe, i nipoti Michele e Alessandro Mezzero, e Davide Grasso. Oltre a loro tre, sono stati destinatari di misura cautelare in carcere pure Pietro Ligato, figlio del capocosca di Pignataro, Raffaele (deceduto), Pasquale Natale di Santa Maria La Fossa, Carlo Bianco di Casal di Principe, uomo degli Schiavone, e Giovanni Diana, cognato di Salvatore Nobis Scintilla (tra i più fidati di Michele Zagaria). Ai nove finiti in prigione sono contestati a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsioni, incendio e detenzione illegale di armi. Altri cinque indagati sono finiti ai domiciliari. Complessivamente, gli inquisiti sono 24 (tra quelli a piede libero c’è Carmine Zagaria), tutti da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo gli avvocati Alberto Martucci, Raffaele Russo, Pasquale Diana, Paolo Raimondo, Paolo Di Furia e Carlo De Stavola.
La tangente sul capannone pretesa da Carmine Zagaria. Una quota era…
Nipoti e fratello portavoce del padrino
I nuovi accordi tra i Casalesi per spartirsi i soldi del…
Volevano riorganizzare il clan dei Casalesi, 14 arresti
© RIPRODUZIONE
RISERVATA