CASAPESENNA – Il nome di Nicola Inquieto torna al centro delle cronache giudiziarie. E stavolta in un ruolo nuovo: quello di collaboratore di giustizia. Ma chi è, nel dettaglio, l’uomo che per anni ha gestito una parte dell’impero economico della fazione Zagaria? La sua storia giudiziaria entra ufficialmente nei radar nel 2018, quando viene arrestato dalla Dia su ordine del Tribunale di Napoli per associazione mafiosa. Quel blitz – scattato in Romania, nella sua villa di Pitesti, con il supporto della polizia locale e il coordinamento di Eurojust – rappresentò l’esito di un’indagine che gli inquirenti ritengono tuttora centrale nel mosaico finanziario dei Casalesi. Estradato in Italia il giugno successivo, Inquieto fu condannato – sulla base del quadro investigativo che ne aveva determinato l’arresto – a 16 anni in primo grado nel 2019, pena poi ridotta a 14 anni in appello e divenuta definitiva nel 2023, quando la Cassazione ne ha confermato il verdetto rendendolo irrevocabile.
Per il pubblico ministero Maurizio Giordano – titolare dell’inchiesta che fece ammanettare Inquieto – fu proprio Michele Zagaria Capastorta, negli anni Duemila, a spedire l’imprenditore da Casapesenna alla Transilvania per investi- re all’estero i soldi della cosca. A Pitesti, infatti, Inquieto avviò diverse aziende edili. Ma – sotto- linea l’Antimafia – non si occupava solo di costruzioni: gestiva una parte dei capitali del clan, provvedeva al “sostentamento economico degli affiliati” ed era incaricato di far rientrare in Italia soldi accumulati con attività illecite. A ricevere quei fondi sarebbe stato soprattutto Carmine Zagaria, fratello del boss, oggi libero. Nicola, altro elemento che la Dda sottolinea, è il fratello di Vincenzo Inquieto, l’imprenditore che ospitò per anni Capastorta nella casa di via Mascagni, il bunker in cui Zagaria fu arrestato il 7 dicembre 2011.
‘Bruciato’ in un blitz
La vita di Inquieto cambia improvvisamente tra il 2004 e il 2005. Un blitz delle forze dell’ordine portò alla scoperta di Carmine Zagaria proprio nel suo appartamento di via Po, a San Cipriano d’Aversa. A raccontarlo è Massimiliano Caterino, ex braccio destro del boss e ora collaboratore di giustizia. In quell’abitazione – sostiene l’Antimafia – era in costruzione un bunker, e quella sera avrebbe dovuto esserci anche Michele Zagaria per un sopralluogo. Ma il capoclan, insospettito dal movimento delle pattuglie, decise di non presentarsi. “Andai ad avvisare Pasquale Zagaria – ha spiegato Caterino – e sbiancò: temeva che Michele fosse stato preso. Poi tornò tranquillo: avevano trovato solo Carmine”.
Per Capastorta Inquieto, da quel momento, era “bruciato”. Andava allontanato. E serviva una giustificazione credibile. Così, racconta Caterino, il boss ordinò una finta ritorsione: “Mi incaricò di far sparare contro la saracinesca del ne- gozio di telefonia di Inquieto”. L’obiettivo era far apparire la famiglia come vittima del clan, depistando eventuali sospetti. Secondo Caterino, Michele Zagaria invitò poi Inquieto a denunciare “contro ignoti”. Poco dopo, l’imprenditore scomparve dal territorio e fu spedito in Romania, paese d’origine della moglie. “Lì ha fatto fortuna, mi disse Giacomo Capoluongo – ha riferito Caterino – sta- va facendo cose in grande”. Prima della partenza, però, Inquieto – raccontano i collaboratori – “si dedicava esclusivamente al sostentamento del boss”. Zagaria gli avrebbe anche finanziato l’apertura del negozio di telefoni ed elettrodomestici che aveva a Casapesenna. Su quell’attività è chiaro anche il pentito Generoso Restina: “Fu allestita ed avviata con denaro proveniente dalle attività delittuose di Michele Zagaria”. Nel frattempo, il capoclan aveva dato un ordine preciso agli affiliati: nessuno doveva avvicinarsi a Nicola, tranne Carmine. “Lo chiamava ’o chiattone – racconta Caterino –. Diceva: ‘Mi deve venire a dare una cosa’. E quella ‘cosa’ era denaro”.
L’uomo chiave dell’impero
L’Antimafia definisce Nicola Inquieto “il referente per la conduzione dell’attività imprenditoriale della fazione Zagaria”. Lo sarebbe stato almeno fino al dicembre 2017. Il 43enne avrebbe curato gli interessi del boss “effettuando investimenti in aziende in Italia, ma soprattutto all’estero”. In Romania, appunto, dove fonda diverse società – tra cui la Italy Constructii srl – che ritornano nelle informative investigative.
Il ruolo economico nel clan della famiglia Inquieto, però, non si esaurisce con Nicola. L’attività investigativa che ha portato alla condanna del neo collaboratore aveva infatti coinvolto nel 2018 anche Giuseppe Inquieto, suo fratello maggiore: secondo la tesi dell’accusa, quest’ultimo
avrebbe gestito in Italia alcune attività economiche riconducibili al gruppo Zagaria – come Imab Metal sas, Aurora Service srl e Aurora Servizi srl – con successivi reinvestimenti nel settore dell’abbigliamento. Per la Dda, inoltre, Giuseppe avrebbe persi- no favorito la latitanza del boss, occupandosi della costruzione e della manutenzione dei bunker utilizzati da Michele Zagaria. Una ricostruzione che, però, non ha retto al vaglio del Tribunale. A differenza del fratello Nicola, Giuseppe Inquieto è stato assolto: secondo i giudici, non vi sono elementi che lo colleghino alla fazione Zagaria né alle sue attività criminali.





















