NAPOLI – Grintoso, spregiudicato, senza peli sulla lingua e, soprattutto, rock. Stiamo parlando di Pino Scotto, colonna della musica rock nazionale che presenta al pubblico il suo album numero 21 dal titolo “Dog eat dog”. Un lavoro che contiene 11 brani inediti e la cover dello storico brano dei Vanadium, band che ha fatto la storia della heavy rock italiana, di cui Pino è stato a lungo frontman: “Don’t Be Looking Back”. L’album, prodotto artisticamente da Scotto, è stato mixato e masterizzato da Tommy Talamanca presso i Nadir Music Studios di Genova, mentre la produzione esecutiva è dello stesso Pino Scotto e Federico Gasperi. Alle chitarre e arrangiamenti Steve Volta, al basso Leone Villani Conti (Trick or Treat), alla batteria Federico Paulovich (Destrage) e alle tastiere Mauri Belluzzo (Graham Bonnett, ex Rainbow). Artista instancabile e conduttore televisivo, Pino, originario di Monte di Procida, racconta a ‘Cronache’ il suo percorso personale e umano, scandito in ogni tappa dalla musica.
“Dog eat dog”, cane mangia cane. Un’immagine cruda per un album in qualche modo profetico.
Questo cd parla della guerra dei poveri, un po’ quello che stiamo vivendo oggi. La razza umana che si azzanna, e finisce per scannare il suo simile. Questo è il mio ventunesimo album prodotto in piena libertà. Libertà che mi sono conquistato in tutti questi anni lavorando in una fabbrica, da cui sono in pensione da 13 anni. Quel lavoro mi ha permesso di essere libero: me la canto e me la suono! Questa volta però ho voluto intraprendere un percorso diverso e cancellare dalla mente tutti i preconcetti legati alla mia musica passata. Esattamente quello che vorrei che facesse chi ascolta il mio cd. Ho cercato di scrivere la mia musica così come veniva: un percorso che parte dagli anni 70’ a oggi. C’è tutto quel che mi piace: influenze blues, prog, naturalmente rock. L’album che mi piacerebbe ascoltare. A chi vorrà approcciarsi al cd dico: fatelo senza preconcetti: aprite la mente e ascoltate.
“Don’t Waste Your Time” è un brano che nasce da una dolorosa esperienza personale.
Un po’ di anni fa mi venne quella che mi sembrava una sorta di influenza senza febbre né raffreddore che mi buttava giù fisicamente. Dopo essermi sottoposto a una radiografia, il mio medico, vedendo i risultati, divenne bianco come un lenzuolo: il referto mostrava una massa sui polmoni. Mio nonno e il mio papà sono scomparsi per colpa di un tumore ai polmoni, per cui ti lascio immaginare come mi sono sentito. Per fortuna, un esame più approfondito ha mostrato che quell’ombra era ‘solo’ una bronchite cronica. Da quell’esperienza sono cambiato. Dopo 50 anni di eccessi, mi sono detto: ora basta.
E’ quanto hai promesso al tuo amico Lemmy Kilmister, storico leader dei Motörhead, scomparso nel 2015 a causa di un tumore.
L’ultima volta che l’ho visto, a Milano, stava già molto male: mi guardava e aveva la morte negli occhi. Quella cosa mi ha colpito moltissimo: poco dopo la sua scomparsa una notte l’ho sognato e ho scritto per lui un pezzo, “The eagle scream”. Da quel giorno ho smesso di fumare. Ho perso tanti amici per colpa dell’eroina negli anni ‘70 e ’80: in tanti provano ad aiutarti, ma sei tu a dover decidere di smettere.
Torniamo alla musica: come sta messo il rock in Italia?
Malissimo: è da anni ormai che si fanno solo ‘fotocopie’, mai niente di nuovo. Sono cambiati i sentimenti, è cambiata la rabbia: la creatività è diventata un optional.
Secondo te da cosa dipende questa sorta di crisi?
Il sistema sociale è cambiato. Le nuove generazioni vengono illuse: i ragazzi ormai credono che per essere arrivati basti partecipare a un talent-show. Programmi televisivi che andrebbero denunciati per “spaccio di demenza”: hanno mostrato ai ragazzi la strada breve, come se bastasse fare il pagliaccio su un palco per diventare un musicista, ma non è così.
Una domanda che rivolta a un rocker come te è un po’ una provocazione: cosa ne pensi della musica trap?
Penso che peggio di così non ci poteva capitare. Oggi sembra che chiunque possa fare musica, cantare e suonare. Eppure sono in pochi a saper scrivere una melodia, un’armonia. Prendono il microfono in mano e si sentano artisti. Mi sembra che ci sia una sorta di ‘gioco’ dietro: chi produce musica esclude la cultura, l’unico mezzo che fa respirare il cuore e l’anima. Ci vogliono tutti rimbambiti, senza capire che un Paese senza arte è morto.
L’emergenza provocata dal contagio da Coronavirus in Italia ha creato un terremoto nel circuito musicale e dello spettacolo. Ne sai qualcosa anche tu: ad aprile saresti dovuto partire con il “Dog eat dog tour”. Tutto cancellato per ora fino a nuove date da riprogrammare.
Questo è il momento di essere positivi, ma speriamo che sia una lezione per tutti e che ci faccia riflettere sulla consapevolezza che “prima” non si stava così male.
Qual è il messaggio che vuoi lanciare alle nuove generazioni?
Ai ragazzi dico di stare attenti: viviamo in un momento storico pericoloso, e non mi riferisco al virus. Ci vogliono tutti uguali, rischiamo di diventare un nuovo esercito di capre che non ragionano. Fate funzionare il cervello. Divertitevi e fate della vostra vita qualcosa di importante, senza dimenticare che l’unica possibilità che abbiamo è quella di poter scegliere dove essere e con chi essere. Come dico sempre, quando vedete una massa che corre, andate nell’altra direzione.
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