NAPOLI – Il sistema dei Licciardi per evitare le intercettazioni non ha ‘bucato’ le indagini dei carabinieri, che hanno installato trojan nei cellulari degli affiliati. I capi dei Licciardi sapevano che rischiavano qualcosa. Forse lo intuivano. Erano terrorizzati da microspie e telecamere. Lo raccontano i dettagli dell’ordinanza cautelare, che ha portato in carcere 19 persone e tre ai domiciliari. Paolo Abbatiello (nella foto) aveva fiutato qualcosa ed è andato su tutte le furie: avrebbe richiamato all’ordine tutti gli affiliati. Gli inquirenti raccontano in particolare un episodio: si è chiamato Salvatore Sapio, Raffaele Cardamone e Luigi Esposito: “Voi prendete tutto alla leggera, non dovete parlare più al telefono, se proprio dovete farlo usate la modalità di comunicazione della videochiamata, è l’unica a non essere intercettata, perché anche le comunicazioni telematiche come i messaggi sono captate dalle forze dell’ordine. Al telefono dovete solo prendere appuntamento per le imbasciate da vicino. Si prende lo scooter e si va a parlare. Non si fa che la gente va ancora in galera per colpa dei telefoni”.
Questo in sintesi il discorso di Paolo Abbatiello, indicato dalla Procura come il ‘deus ex machina’, dopo l’arresto di Maria Licciardi (estranea all’indagine). Dimostrando così una profonda conoscenza delle capacità d’indagine degli investigatori. In una conversazione con Salvatore Sapio, Abbatiello tiene a precisare: “Dall’altra parte del telefono fraintendono. Vanno per interpretazione. Nel frattempo ti arrestano e poi vallo a spiegare qual è la verita. Intanto ti portano in carcere. Per una parola fuori posti, hai capito?”. Salvatore Sapio replica di aver capito il concetto. Ma Abbatiello insiste: “Sì, però stai sempre con quel telefono in mano. Credimi, è un tarantella. Credimi io non lo uso proprio. Se io e te stiamo parlando al telefono, sia cosa dicono? Che stiamo confabulando. Io lo so come funziona. Se tu stai cercando qualcuno, scendi e vallo a cercare con lo scooter. Perché devi telefonare? E’ pericoloso. Che poi sono cose innocenti dette al telefono, ma lo sono per te. Non per chi ti sta ascoltando. I telefoni li sentono tutti quanti. E’ pericoloso. Non lo volete capire”.
Il nome dell’inchiesta ‘Malachim’ si riferisce alla rete di emissari e messaggeri che, comunicando anche al telefono apertamente, hanno garantito la continuità operativa del gruppo dopo l’arresto di Maria Licciardi. Le indagini dei carabinieri sono andate avanti. Gli investigatori hanno raccolto decine di conversazioni per ricostruire il quadro delle contestazioni. Ma – va aggiunto – al momento si tratta di accuse. Tutti sono da ritenere innocenti, fino a una eventuale sentenza di condanna. Un duro colpo al clan Licciardi della Masseria Cardone inserito nell’Alleanza di Secondigliano, con l’emissione di 22 misure cautelari (19 in carcere e 3 ai domiciliari).
L’inchiesta, denominata “Malachim” e condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ricostruisce come il clan imponesse tangenti su attività illecite come le frodi informatiche (phishing) e controllasse l’assegnazione degli alloggi popolari (un caso specifico ha riguardato l’estorsione a una famiglia per non perdere la casa a Piscinola-Marianella). Gli investigatori hanno fotografato la riorganizzazione del clan successiva all’arresto della storica leader, Maria Licciardi, e alla scarcerazione del luogotenente Paolo Abbatiello nel luglio 2021, il quale avrebbe assunto lo scettro del comando. L’indagine ha rivelato la struttura verticistica dei Licciardi e i loro legami con altre cosche, tra cui i Mazzarella e i Russo dell’area nolana. Riflettori sulla rete intorno a Paolo Abbatiello.






















