NAPOLI – Con orgoglio i partenopei hanno sempre detto che “Napoli è la città più bella del mondo”. Con questa affermazione, è stato d’accordo anche chi ha visto il capoluogo partenopeo per la prima volta. Nonostante la sua storia millenaria, Napoli si è aperta al turismo di massa soltanto da pochi anni. Negli ultimi mesi il flusso di visitatori è aumentato a tal punto da superare i dati registrati prima della pandemia. Rispetto al periodo pre Covid, sono diventati meta di turisti molti altri quartieri popolari. Prima del lockdown i punti di maggiore interesse erano sempre gli stessi. Adesso, oltre Posillipo, Mergellina, via Caracciolo, via Toledo, i Decumani, i Quartieri Spagnoli, il Vomero e Scampia, per chi sceglie percorsi ‘dark’ con un giro nelle piazze di spaccio più vaste d’Europa, scoprendo che nella periferia Nord la maggior parte dei residenti è gente perbene, che vive nella legalità, si sono aggiunte anche altre aree, prima sconosciute al grande pubblico.
Via Vergini e il rione Sanità sono tra queste, giusto per fare alcuni esempi. Negli ultimi cinque anni nel cuore pulsante della città ‘Bed and Breakfast’, pizzerie, bar, vinerie e ristoranti sono iniziati a spuntare come funghi. Il coprifuoco ha lasciato spazio a luci e folle. Il capoluogo partenopeo è sempre stato cosmopolita, ma è da poco che si sono assottigliate le differenze con gli altri grandi centri continentali. Almeno sino all’arrivo del caro-bollette l’economia ha avuto un impulso che ha permesso ai titolari delle attività ricettive di parare i colpi inferti dalle chiusura per evitare la diffusione dei contagi da Coronavirus dal 2020 al 2021. C’è, però, il rovescio della medaglia. Con il trascorrere dei mesi, i commercianti hanno iniziato a rivolgersi soltanto ai visitatori, mettendo in secondo piano le esigenze dei clienti locali. Qualcuno, a bassa voce, l’ha anche ammesso. Meglio trattare con i turisti, che hanno più voglia e possibilità di spendere.
Si spiegano anche così alcuni rincari dei prezzi registrati nei quartieri più popolari di Napoli. In una nota pasticceria del rione Sanità il prezzo di un dolce tipico è salito da 70 centesimi a un euro e 50. Il caffè al banco viene servito in cambio di 1,50 euro. E’ ovvio che la scelta dell’imprenditore in questione è mirata ad attirare nel suo locale soltanto chi non è del posto. Infatti, chi è nato nelle viscere della città trova difficoltà nel pagare 3 euro al giorno per fare colazione. Molteplici sono gli esempi da portare a corredo della tesi. C’è una pizzeria nei pressi di via Vergini che è stata premiata più delle altre dal boom dei visitatori. Tavoli pieni come mai in passato. Difficile, però, scorgere napoletani tra i commensali. Prezzi e maniere: la percezione cambia a secondo delle origini. Scelta ingenerosa, visto che prima dell’apertura di Napoli verso il turismo di massa, gli unici clienti erano quelli del posto. Compratori che con i loro acquisti hanno permesso alle attività commerciali di restare a galla in attesa degli incassi sognati. Il punto di non ritorno è stato oltrepassato. Ma c’è chi spera che i titolari delle strutture ricettive possano riprendere a ragionare.
“Il rincaro di prezzi registrato nei quartieri popolari non è giustificato – dice Giovanni Berritto, presidente Federconsumatori Campania e Napoli – alla lunga potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Prima di tutto, non è giusto lasciare indietro i clienti locali, che a causa dell’aumento dei costi si sono visti limitare la possibilità di scelta dei negozi in cui servirsi abitualmente. Inoltre, con i turisti non bisogna esagerare”. Infatti, secondo Berritto “sarebbe una mossa intelligente optare per costi accessibili, così da mantenere intatto e magari accrescere l’appeal raggiunto da Napoli. Stabilire gli stessi prezzi o addirittura aumentarli rispetto alle altre città d’Europa potrebbe indurre i viaggiatori a tornare a scegliere mete differenti per le loro vacanze”.