Arcelor Mittal lascia l’Italia e il futuro dell’Ilva è di nuovo a rischio. Torna dunque lo spettro di conseguenze che sarebbero drammatiche sia per l’economia che per le tante famiglie coinvolte. Il colosso dell’acciaio ha infatti deciso di rescindere l’accordo per acquisire le acciaierie tarantine e alcune controllate stabilito il 31 ottobre chiedendo ai commissari straordinari di assumere la responsabilità delle attività e dei dipendenti entro 30 giorni.
La decisione di Arcelor Mittal
Lo stop allo scudo penale per i manager e i provvedimenti del Tribunale di Taranto: queste sarebbero le motivazioni alla base della scelta di Arcelor Mittal. Oltre a questo esistono, secondo quanto annunciato, “altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà di Arcelor Mittal che hanno contribuito a causare una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto”. I sindacati, dal canto loro, hanno parlato di “bomba sociale” pronta ad esplodere e hanno sostenuto la necessità di fare qualcosa in tempi brevi per impedire la rottura di un accordo che aveva fatto pensare al meglio.
“Il governo impedirà la chiusura dell’Ilva”
“Il governo – ha detto il premier Giuseppe Conte – non consentirà la chiusura dell’Ilva. Non esistono presupposti giuridici per il recesso del contratto. Convocheremo immediatamente Mittal”. Veemente anche la reazione di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil: “Noi stiamo chiedendo che venga applicato l’accordo. Quindi il governo tolga dal tavolo qualsiasi alibi sulle questioni penali e allo stesso tempo chiediamo che Arcelor Mittal non faccia la furba. Diciamo inoltre che sarebbe utile un ingresso pubblico, che può essere Cassa Depositi e Prestiti. Si potrebbero così introdurre nuovi elementi di garanzia per il governo e per Arcelor Mittal”. Disinnescare questa bomba sarà difficile. Un miliardo e 200 milioni di investimenti produttivi che potrebbero andare in fumo, 8200 lavoratori. Numeri da capogiro per un futuro che rischia di essere terribile per tutta l’economia nazionale.