PIGNATARO MAGGIORE – Imprenditori estorti in nome del clan, quattro arresti. Antonio Raffaele Ligato, 38enne, il fratello Pietro, 49enne, e la sorella Felicia, 41enne (figli del boss Raffaele, deceduto lo scorso 22 ottobre), sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il 38enne Fabio Papa, invece, è finito ai domiciliari. Ad ammanettarli, ieri mattina, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, sono stati i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, della Compagnia di Capua e della stazione di Pignataro Maggiore. E’ indagata a piede libero Maria Giuseppa Lubrano, 69enne, mamma dei Ligato e sorella del boss Vincenzo Lubrano (deceduto nel 2007). A disporre le misure restrittive è stato il giudice Fabrizio Finamore del Tribunale partenopeo.
Le indagini
Ad innescare il blitz è stata un’intensa attività investigativa avviata lo scorso agosto e realizzata attraverso un’ampia piattaforma tecnica ed una mirata azione di riscontro. Il lavoro dei carabinieri, sostiene la Dda, ha permesso di far emergere condotte estorsive decennali, compiute sin dal 2007, nei confronti di imprenditori operanti nel settore delle onoranze funebri di Pignataro Maggiore. A metterle in atto sarebbero stati, con ruoli diversi, i cinque finiti sotto inchiesta e il boss Vincenzo Lubrano (fono alla data della sua scomparsa).
La ricostruzione degli inquirenti
Le vittime, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, versavano ogni mese 3mila euro al gruppo malavitoso. La somma, hanno accertato i militari, veniva corrisposta ogni 30 del mese a uno tra Pietro, Antonio Raffaele e Felicia Ligato (a seconda di chi tra loro fosse libero) o a Maria Giuseppa Librano. In alternativa gli imprenditori lasciavano la quota in un luogo preventivamente concordato con i loro presunti aguzzini e quasi contestualmente prelevata da uno dei sodali della gang.
La vicenda del cimitero
Pietro Ligato, stando a quanto sostenuto dalla Dda, ha fatto valere il proprio peso mafioso anche in una vicenda riguardante un lotto cimiteriale. Avrebbe intimato ad un imprenditore di farselo consegnare. Se non fosse stato disposto a cederlo, la vittima avrebbe dovuto dargli 18mila euro a titolo di risarcimento. Per riuscire nel suo intento, il figlio del boss, dicono gli inquirenti, portò l’uomo d’affari in un luogo isolato per incutergli timore e ribadirgli le sue richieste. In un’altra occasione, a bordo di un furgoncino, speronò la vettura su cui viaggiava l’imprenditore, danneggiandone la fiancata sinistra. Azioni messe in campo da Pietro Ligato tutte finalizzate, ritiene la Dda, a costringere la vittima ad accontentare le sue istanze.
L’interrogatorio di garanzia
Nelle prossime ore Papa e i Ligato, assistiti dall’avvocato Carlo De Stavola, affronteranno l’interrogatorio di garanzia. Potranno confrontarsi, se decideranno di rispondere, con gli interrogativi che porrà loro il giudice Finamore (firmatario dell’ordinanza cautelare).
I cinque coinvolti nell’inchiesta sono da ritenere innocenti fino ad un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.
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