MALAGA – E’ stata una corsa contro il tempo disperata, quanto vana. Per dodici giorni minatori, vigili del fuoco, speleologi, operai, hanno fatto squadra per arrivare in fondo al pozzo artesiano in cui è caduto il piccolo Julen, 2 anni. Il bambino è stato recuperato dopo 300 ore di lavoro. Senza vita. Con le braccia rivolte verso l’alto. Come in un’ultima, lacerante, richiesta d’aiuto.
L’autopsia: morto nella caduta
La tragedia si è dilatata per giorni, quando in realtà si era già consumata. Lo ha rivelato l’autopsia, effettuata all’istituto di medicina legale di Malaga. Traumi encefalici importanti, tante altre ferite dovute alla caduta. Settantuno metri nel vuoto di un buco nella terra che ha inghiottito la sua vita. Non lasciandogli scampo.
Il silenzio e il pianto di Alfredino
Una situazione simile ma anche profondamente diversa da quella che nel 1981 ha acceso il cuore d’Italia. Alfredino Rampi, 6 anni, caduto in un’analoga ferita della terra a Vermicino, vicino Roma, era vivo. Parlava, piangeva, chiedeva aiuto. Stavolta no. Nonostante il silenzio che arrivava da quel pozzo, ogni sforzo è stato fatto per tentare di salvare Julen. Fino al recupero del corpo, fino a quando la speranza non si è arresa all’evidenza di un dolore troppo grande per essere compreso.
I funerali
Oggi si terranno i funerali in una Spagna in lutto. E tutto il mondo saluterà per sempre quel bambino per il quale ha pregato, incrociato le dita e sofferto. I riflettori si spegneranno. Come avvenne nel 1981 dopo una lunghissima, tragica, ancora discussa, diretta tv. Che non si spenga, però, l’attenzione per una famiglia la cui anima è incastrata in quella feritoia nella terra. Quella va ancora liberata.