CASAL DI PRINCIPE – Ad affiancare Giorgio Monaco, alias Mowgli, nella gestione della piazza di spaccio allestita in via Taormina sarebbero stati alcuni albanesi: è la tesi su cui stanno lavorando i carabinieri tracciata con le informazioni da loro raccolte da svariati acquirenti di narcotici dell’Agro aversano.
Lo stabile dove avrebbero smerciato stupefacenti è quello dove i militari dell’Arma di Casal di Principe bloccarono e arrestarono lo scorso giugno proprio Monaco. Si tratta di una struttura, in parte in stato grezzo, ammobiliata con soli con un divano e un tavolino, sul quale era poggiata, al momento del blitz eseguito dalle forze di polizia, una pistola ad aria compressa.
Pizzini e telecamere
Nell’immobile, i carabinieri della stazione di Casal di Principe individuarono anche strumenti per sezionare le dosi e confezionarle, oltre a contenitori intrisi di sostanze stupefacenti e diversi contanti.
Nel marsupio di Monaco, inoltre, gli investigatori trovarono foglietti manoscritti con l’indicazione di grammi, nomi e cifre di denaro, che per la Procura riguarda il suo ipotizzato rapporto con acquirenti e fornitori.
La casa di via Taormina adibita a base di spaccio era anche servita da un sistema di monitoraggio che permetteva a chi era dentro di visionare eventuali accessi delle forze dell’ordine. Monaco venne arrestato il 13 giugno scorso con le accuse di aver spacciato droga (proprio in via Taormina), di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni. Da allora il 24enne è ancora cautelativamente in carcere.
La visita di Sandokan jr
Stando alle ipotesi investigative, Emanuele Libero Schiavone, tornato a Casal di Principe il 15 aprile scorso, dopo aver trascorso 12 anni in prigione, desideroso di rituffarsi nel crimine (nonostante, in quel periodo, fosse ancora in piedi il percorso di collaborazione con la giustizia avviato dal padre capoclan, Francesco Sandokan), aveva preteso proprio da questa ‘base’ una quota. E dinanzi al no che gli era stato rifilato, pochi giorni prima del blitz dei carabinieri con cui venne ammanettato Mogwli, Schiavone avrebbe fatto visita all’immobile di via Taormina. Per fare cosa? Per prelevare della droga e malmenare uno dei giovani pusher che era in quel momento in servizio (insomma, una risposta violenta al due di picche che gli era stato dato in merito alla richiesta di denaro).
Le stese
A seguito di questo episodio, gli equilibri criminali in città si sono rotti determinando l’inizio di uno scontro culminato nella stesa in piazza Mercato, avvenuta la sera prima delle elezioni comunali (il primo turno), e negli spari contro il portone di casa Sandokan, in via Bologna, e nella strada dove abita Francesco Reccia, figlio del boss Oreste Reccia Recchie ‘e lepre e fidato di Emanuele Libero (i due, secondo l’Antimafia, avrebbero gestito per alcune settimane lo spaccio di droga in piazza Mercato).
Tra le ipotesi investigative ancora al vaglio della Direzione distrettuale antimafia, c’è quella che associa tali raid a un gruppo collegato ai Bidognetti. Se così fosse, allora ci sarebbe il rischio di assistere a momenti di forti tensioni nel clan tra due delle principali cosche che lo animano. Una faida che stava per scoppiare, ma che è stata prontamente fermata dai carabinieri con gli arresti di Schiavone jr e Reccia (avvenuto lo scorso giugno), difesi dai legali Paolo Caterino e Domenico Della Gatta, e con il disarticolamento della piazza di spaccio in via Taormina.
Il nuovo corso del clan
Trafficare droga in grandi quantitativi era accettabile. Consentire la vendita al dettaglio sul territorio, no. E queste erano regole di un clan dei Casalesi ormai superato dagli eventi. Messo in ginocchio da arresti, confische e collaborazioni con la giustizia, i gruppi che ancora ne fanno parte, per sopravvivere hanno dovuto ripiegare sul commercio al dettaglio di narcotici: business che garantisce in tempi rapidi guadagni ma molto più instabile, soggetto a rivalità che, come accaduto con Emanuele Libero Schiavone, aprono a scontri violenti e che quindi attirano sul territorio l’attenzione delle forze dell’ordine.
A Monaco, assistito dall’avvocato Mirella Baldascino, non sono contestati reati collegati all’associazione mafiosa.
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