La fine dell’ultimo dei corleonesi. Arrestato Matteo Messina Denaro

Si curava contro il cancro sotto falso nome, non ha opposto resistenza

NAPOLI – “Preso, preso”. Sono da poco passate le 9 del mattino quando a pochi passi dalla clinica La Maddalena, quartiere San Lorenzo di Palermo, le urla dei carabinieri del Ros annunciano la fine della latitanza di Matteo Messina Denaro. L’ultimo boss della mafia stragista, in fuga da 30 anni, è stato arrestato. Ad entrare in azione decine di uomini del Ros, dei Gis, dei reparti territoriali dei carabinieri di Palermo e Trapani che hanno blindato l’area della clinica dove il boss di Castelvetrano andava per sottoporsi a chemioterapie per un cancro al colon. Messina Denaro, che si accreditava nella sanità siciliana col nome di Andrea Bonafede, ha capito di essere braccato, ha tentato di allontanarsi ma a pochi passi da un bar è stato fermato. “Sì, sono Matteo Messina Denaro”. E’ stato caricato su un furgone ed è stato portato via tra gli applausi dei cittadini palermitani. “Tutti i capi mafia della stagione delle stragi sono stati catturati. Era un debito che lo Stato aveva con i cittadini e con le vittime di quel periodo”, hanno detto durante la conferenza stampa i magistrati della Dda di Palermo Paolo Guido e Maurizio de Lucia. L’operazione è stata fulminea. Messina Denaro nel reparto in cui era atteso per assumere i farmaci chemioterapici non ci è mai arrivato. E’ salito su un furgone nero, senza manette, sul quale è stato condotto nella caserma della compagnia di San Lorenzo. Andrà in carcere, perché le sue condizioni di salute sono ritenute compatibili anche con il regime speciale del 41bis, pur garantendogli le terapie per curare il cancro al colon e le metastasi al fegato che lo hanno costretto a due interventi chirurgici. Nell’operazione è stato arrestato per favoreggiamento anche Giovanni Luppino, incensurato di Campobello di Mazara, che faceva da autista al ‘delfino’ di Totò Riina, arrestato 30 anni e un giorno fa. E’ stata la malattia a ‘tradire’ la primula rossa. Secondo quanto riferito dagli inquirenti, una intercettazione tra familiari e possibili fiancheggiatori a fatto emergere il nome di Andrea Bonafede. E a quel punto magistrati e carabinieri hanno preso in esame il database del sistema sanitario e scoperto che nel giorno dell’operazione il cellulare del vero Bonafede, nipote di un altro boss siciliano morto nel 2020, aveva agganciato una cella diversa. I riscontri hanno convinto gli inquirenti che hanno scoperto della visita in programma per ieri mattina e organizzato l’operazione nei minimi dettagli. E per Messina Denaro è finita.

Gli omicidi e il mistero di Diabolik

Per 30 anni è stato un fantasma. Matteo Messina Denaro, U Siccu, Diabolik, il latitante imprendibile è sfuggito alla giustizia per 30 anni. Dopo un ultima deposizione in tribunale, ancora da incensurato, era sparito nel nulla nel 1993. Di lui, da allora, solo sporadiche tracce. Tra queste la voce registrata in quell’interrogatorio a Palermo, i pizzini trovati nel covo dell’altra ex primula rossa Bernardo Provenzano, una immagine ripresa da una telecamera di sorveglianza. Poco per acciuffare l’ultimo dei corleonesi, custode dei segreti della stagione delle stragi di Capaci e via D’Amelio, degli attentati a Milano, Firenze e Roma. Intanto lo Stato lo ha condannato all’ergastolo per decine di omicidi, di fatti di sangue brutali. Tra questi il delitto di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, soffocato e sciolto nell’acido dopo una lunga prigionia per punire il padre Santino, che aveva deciso di collaborare coi magistrati. Faceva parte della Cupola corleonese comandata da Totò Riina, arrestato poche settimane prima che Messina Denaro cominciasse la sua lunga fuga conclusa davanti alla clinica in veniva curato, sotto falso nome, contro il cancro. Del suo profilo personale poche informazioni: lettore di fumetti, amante di videogiochi, dei Rolex, delle auto costose. Al momento del suo arresto aveva al polso un ‘Franck Muller’ da 35mila euro. Non si era rinchiuso in una vita spartana come Provenzano. Ha vissuto in Sicilia, è andato via ed è tornato più volte dalla sua terra, e si è goduto lussi impensabili per uno dei 10 latitanti più ricercati del mondo. La rete di fiancheggiatori che lo ha aiutato, e sulla quale si continua a indagare, è stata impressionante. Poi la malattia, le indagini serrate e quel nome, Andrea Bonafede, dietro il quale è stato individuato. Nel giorno della gioia per l’arresto dell’ultimo padrino corleonese, però, monta la polemica. E’ riemersa, infatti, una intervista resa a Non è l’Arena dal pentito Salvatore Baiardo nella quale quest’ultimo ‘preconizzava’ il fermo della primula rossa: “Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”, aveva detto facendo riferimento alle norme contro l’ergastolo ostativo come elementi di una trattativa. La Sinistra ha annunciato interrogazioni parlamentari. La premier Giorgia Meloni si è infuriata: “Messina Denaro andrà al carcere duro perché quell’istituto esiste ancora grazie a questo governo. Quindi qualcuno dovrebbe spiegarmi su che cosa si sarebbe fatta questa eventuale trattativa. Pensare a cose diverse da un successo dello Stato è un insulto a chi ha lavorato per questo risultato”. Per il boss, intanto, è finita. E per la Sicilia, l’Italia, il mondo, è un giorno di festa.
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