La tangente sul capannone pretesa da Carmine Zagaria. Una quota era destinata al mafioso di Grazzanise

Il fratello del boss di Casapesenna voleva ricavare dalla vendita della struttura 40mila euro

GRAZZANISE – Chi fa grandi investimenti sul territorio controllato dal clan deve pagare. E più alto è l’importo dell’affare che conduce,, più cresce la quota che è chiamato a dare ai mafiosi. È questo lo schema, tipico della mafia dei Casalesi, che Antonio Mezzero e i suoi sodali, sostiene la Dda di Napoli, hanno provato a imporre in Terra di Lavoro negli ultimi due anni. Ad impedire di portarlo avanti, evitando che continuassero a togliere risorse agli imprenditori, è stata l’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta che, ieri mattina, ha fatto scattare 14 misure cautelari.

Indagando sulla cosca, i militari dell’Arma hanno appreso del tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore che stava conducendo la compravendita di un capannone situato a Torello, località della frazione Sant’Andrea del Pizzone (comune di Francolise). Giovanni Diana, cognato di Salvatore Nobis (uomo di fiducia di Micele Zagaria) Biagio Ianuario e Carlo Bianco, su indicazione di Carmine Zagaria, avrebbero chiesto all’uomo d’affari che stava acquistando l’immobile 30mila euro e pretendevano 10mila euro anche dal venditore. Una parte di queste somme, se fosse stata riscossa, sostengono gli inquirenti, era destinata anche ad Antonio Mezzero, che l’avrebbe dovuta ricevere attraverso Davide Grasso e il nipote Michele Mezzero. In questo affare estorsivo si è inserito, ha ricostruito l’accusa, anche Pietro Ligato: ritenendosi il solo reale referente della zona dove insiste il capannone, si sarebbe fatto consegnare dal compratore 20mila euro, chiedendo la stessa cifra anche a chi lo stava cedendo. Il gruppo Mezzero, in base a quanto accertato dai carabinieri, ha spillato denaro anche a una bisca clandestina che era attiva a Curti nell’inverno del 2022.

Il gestore di questa sala clandestina sarebbe stato costretto a versare periodicamente denaro ai Mezzero, somma che si aggirava intorno ai 500 euro, ma che poteva variare in base alle entrate che faceva la casa da gioco. Questi soldi, afferma la Dda, venivano consegnati dalla vittima prima a Vincenzo Addario e successivamente a Davide Grasso e Vincenzo Pellegrino, che poi li giravano a Michele Mezzero, il quale compiva l’ultimo passaggio consegnandoli allo zio boss Antonio.

Munno e Adinolfi accusati di ricettazione

L’inchiesta della Dda sui Mezzero ha tirato in ballo anche l’imprenditore Andrea Adinolfi, patron dell’omonima tenuta, e Carmine Munno, ex assessore di S. Maria Capua Vetere, attivista politico con il partito ‘Animalista’ (che ha presentato liste in varie competizioni comunali). La Dda contesta ai due, indagati a piede libero, il reato di ricettazione. Avrebbero ricevuto due autocarri Iveco e un trattore agricolo che erano stati rubati nel marzo dell’anno scorso. Presunta condotta illecita che avrebbero commesso con Davide Grasso e Flori Zmakaj. Ancora ai quattro, con l’aggiunta di Alin Ionut Halungescu e Michele Bifulco, è contestata un’altra ipotesi di ricettazione. Per quale ragione? Perché avrebbero ricevuto 150 rotoli di guaina impermeabilizzante, di provenienza delittuosa. Nello specifico, Adinolfi avrebbe aiutato ad occultare questo materiale e in un’area di sua proprietà; Halungescu, invece, afferma la Procura, si è attivato per cederlo a terzi.

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