Le accuse del pentito Zagaria: “Io e Fulco soci in affari”. La bisca a Grazzanise: “Parte degli utili al clan dei Casalesi”

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia rese al pm Maurizio Giordano

Nella foto in alto Francesco Zagaria, nel 'tondo' Giovanni Fulco. In basso, da sinistra, Salvatore Carlino, Paolo Gravante, Michele Fontana e Carmine Schiavone

CASAPESENNA – Un affiliato storico: “Sono nel clan dal 1991”, ha raccontato Francesco Zagaria. Un camorrista sui generis, discreto, capace di passare inosservato ‘alla legge’ per decenni. Poi il primo arresto nel marzo del 2017, dopo pochi mesi la scarcerazione e lo scorso febbraio il secondo mandato di cattura per concorso in duplice omicidio (quello di Sebastiano Caterino l’evraiuolo e Umberto De Falco). “Ho commesso fatti di sangue, estorsioni, gestito bische clandestine e tenuto videopoker, armi e altro”. E’ un curriculum criminale lungo e complesso, quello di Ciccio ‘e Brezza.

Le accuse a Francesco Zagaria

Ma da luglio ha tagliato i ponti con la malavita: ha iniziato a collaborare con la giustizia. E parte delle informazioni che ha reso alla Dda in questi mesi sono state depositate nel processo a suo carico innescato dalla prima ordinanza cautelare, dove è accusato di concorso esterno ai Casalesi, riciclaggio, intestazione fittizia e pizzo.

Accantonate le prime ‘partecipazioni’ ai raid di morte, il neo-pentito si è catapultato negli affari. E’ diventato un colletto bianco, dedicandosi all’edilizia, a società di servizi e al settore caseario. Al pm Maurizio Giordano ha confessato di aver gestito una bisca a Grazzanise. Quando i giocatori accumulavano debiti per saldarli firmavano degli assegni “apponendo soltanto la firma ed indicando l’importo. Si lasciava in bianco il nome del beneficiario”, ha spiegato Zagaria.

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Il rapporto con Fulco

E tra chi si sarebbe prestato successivamente ‘a cambiarli’ il pentito ha indicato Giovanni Fulco (nel tondo), 29enne di Brezza. “Poteva però capitare che io girassi a Fulco l’assegno senza il beneficiario ed il Fulco provvedeva poi a girarlo a terzi. Fulco – ha continuato l’ex affiliato – era un mio amico, titolare id un’impresa di trasporti sita a Brezza”.

E il rapporto tra i due sarebbe andato oltre l’ipotizzato cambio assegni. “Fulco è una persona di mia stretta fiducia che conosce benissimo la mia caratura camorristica ed il meccanismo degli assegni. Dico questo perché io stesso raccontavo a Fulco chi fossi. Più volte mi aveva chiesto protezione verso gli Schiavone in ordine alla ditta. Gli ho sempre garantito tranquillità proprio perchè potevo agevolmente spendere a Casapesenna e di rimando a Casal di Principe il mio ruolo di uomo carismatico della cosca Zagaria sul cui territorio non era ammesso ad altri clan di venire a dare fastidio a commercianti ed imprenditori”.

Ed è proprio in cambio di questa protezione che Zagaria a Fulco chiedeva di prendere gli assegni della bisca.

“L’ho anche aiutato economicamente dandogli circa 30mila euro in un periodo in cui è stato in difficoltà. In realtà – ha chiarito – questa somma gli è stata da me versata in un primo acconto e successivamente integrata con altri 30mila perché di fatto volli entrare in società con lui estromettendo il suo socio, Gaetano Conte (estraneo all’inchiesta ed innocente fino a prova contraria) con il quale non andava d’accordo. Fulco mi chiese di proteggerlo da questo Conte il quale aveva parentele malavitose. Mi disse che se lo avesse estromesso dalla società avrei dovuto proteggerlo in cambio di una quota”.

Con i 60mila euro Fulco avrebbe comprato tre camion “che continua ad usare tutt’ora”. Ma l’operazione ‘societaria’ formalmente non si concretizzò a causa dei guai giudiziari di Ciccio ‘e Brezza: “Non andò a buon fine a causa del mio arresto, ma ripeto – ha aggiunto l’ex affiliato – mi considero socio di fatto di Fulco”.

”. Ma l’operazione ‘societaria’ formalmente non si concretizzò a causa dei guai giudiziari di Ciccio ‘e Brezza: “Non andò a buon fine a causa del mio arresto, ma ripeto – ha aggiunto l’ex affiliato – mi considero socio di fatto di Fulco”.

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La bisca di Ciccio ‘e Brezza: “Parte degli utili a Fontana”

E’ dopo l’arresto di Nicola Schiavone che Ciccio ‘e Brezza ha iniziato ad occuparsi della bisca mazzonara. “Ricordo che Paolo Gravante – ha raccontato il pentito – venne da me per dirmi che presso la sua abitazione aveva intenzione di continuare la bisca offrendola al clan Zagaria. Sapeva che di quella cosca ero un importante affiliato. Dopo la cattura di Nicola, Michele Zagaria era ancora latitante, sicché Gravante si rivolse a me per avere una sorta di continuità nella tenuta della bisca. Accettai la proposta”. E il pentito ha spiegato ai pm di non aver neppure informato il boss: era un suo uomo di fiducia e poteva “prendere tranquillamente quel tipo di decisione” in solitaria. Insomma, aveva autonomia.

I tavoli

Per aprire la bisca, però, c’era bisogno di disporre di almeno 7-8mila euro al giorno “che servivano per finanziare i giocatori che si sedevano al tavolo e che non avevano contanti”. La ‘sala’ di Ciccio ‘e Brezza “era dedicata solo al poker e allo chemin de fer”.

“Versavo il denaro nelle mani di Gravante o di Salvatore Carlino. Quest’ultimo – ha aggiunto Zagaria – essendo una persona di mia strettissima fiducia, venne da me designato per essere il mio procuratore presso la bisca. Si occupava di portare il denaro che gli consegnavo, di riscuotere le vincite, di ricevere gli assegni dei giocatori perdenti, di contattare i debitori e così discorrendo. Paolo Gravante metteva a disposizione la sua abitazione, mentre Carlino, sempre con Gravante, gestiva la bisca ed era il mio factotum”. Francesco Zagaria al sostituto procuratore Maurizio Giordano ha spiegato anche il funzionamento dell gioco d’azzardo: “Il giocatore puntava dei soldi suoi cambiati in fiches, coloro che finivano il contante chiedevano il credito alla cassa, ossia a Gravante. Per ogni giocata, ossia per ogni mano di poker, la bisca incassava 100 euro da ogni giocatore”.

I debiti di gioco

Se chi sedeva al tavolo maturava debiti, facendosi finanziare dalla bisca, ed erano cifre al di sotto dei duemila euro, “si aspettava qualche giorno e poi il giocatore portava i contanti. Quando invece il debito aveva un certo importo – ha riferito Zagaria -, il giocatore era ovviamente costretto ad emettere degli assegni”. Parte dei guadagni della bisca, ha aggiunto il pentito, era destinata “a Michele Fontana (‘o sceriffo, ndr.) e poi, dopo il suo arresto, a Giuseppe Garofalo (entrambi luogotenenti di Michele Zagaria, ndr). Una quota degli utili, tuttavia, veniva destinata anche a Casal di Principe, nelle mani di Francesco Panaro ‘camardone’ e di Carmine Schiavone ‘Carminotto’, in quanto la bisca insisteva a Grazzanise, territorio controllato dagli Schiavone”.

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Dal riciclaggio al pizzo, 8 a processo

Sono i verbali del 13 settembre scorso quelli depositati nel processo a carico suo e di altri 7 imputati. Ad innescarlo è stata l’inchiesta del pm Maurizio Giordano, realizzata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, guidato dal tenente colonnello Nicola Mirante.

Francesco Zagaria, 53enne di Capua, ma originario di Casapesenna, e co-imputati hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Nelle prossime settimane il neo-pentito, assistito dall’avvocato Giuseppe Tessitore, sarà interrogato in videocollegamento. Dovrà ripetere quello che ha già riferito tre settimane fa al pubblico ministero. Zagaria risponde di concorso esterno al clan dei Casalesi. Il pentito è in cella cautelarmente per una seconda inchiesta nella quale è accusato di omicidio e camorra).

Con il collaboratore di giustizia a rischiare la condanna ci sono anche Salvatore Carlino, 49enne di Brezza, Paolo Gravante 54enne di Grazzanise, e Domenico Farina, 46enne di San Prisco: i tre, rappresentati dagli avvocati Paolo Raimondo e Nicola Leone, sono accusati di riciclaggio (i primi due in relazione alla bisca mazzonara).

A giudizio per ricettazione anche Carolina Palazzo, 49enne di Brezza, moglie del boss Antonio Mezzero, Salvatore Buonpane, 47enne di San Prisco, e Giuseppe Garofalo, 47enne di Casapesenna: ai due è contestata un’estorsione ai danni di un imprenditore edile. Sono assistiti dagli avvocati Alberto Martucci, Angelo Raucci e Paolo Caterino. I reati, per la Dda, sono stati commessi con l’aggravante di aver agevolato il clan dei Casalesi. A processo anche Giovanni Fulco, 29enne di Brezza, rappresentato dall’avvocato Pasquale Davide De Marco. Il giovane imprenditore è accusato di riciclaggio (a lui l’aggravante mafiosa, però non è stata contestata). L’inchiesta che ha coinvolto gli 8, nel marzo di due anni, fa culminò nell’ordinanza di custodia cautelare in cella per Francesco Zagaria.

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