Le mani della camorra sul voto a Napoli

Le prime “visite” all’interno dei comitati elettorali aperti a sostegno dei candidati. I casi registrati nelle zone del Vasto e del Borgo Sant’Antonio Abate, controllate dal clan Contini: rischio infiltrazioni della criminalità

NAPOLI – Ci risiamo. Con il ritorno alle urne per le elezioni comunali a Napoli sono tornati i vecchi problemi. Non è stata ancora ufficializza la presentazione delle liste elettorali e degli aspiranti consiglieri al Comune di Napoli, ma i comitati elettorali a sostegno di una o l’altra corrente sono già stati aperti. E sono spuntati come funghi, dal centro alla periferia. Tutto normale, la campagna si fa anche così. Sana competizione elettorale. Ma quello che le regole democratiche prevedono, l’Antistato sbaraglia. In alcuni dei comitati elettorali situati nella zona del Vasto e del Borgo Sant’Antonio Abate, si sono materializzati alcuni uomini che, a nome degli “amici”, hanno minacciato, neanche velatamente, le persone che si trovavano all’interno. Niente armi mostrate, solo parole e toni perentori.

Senza mezzi termini, al alcuni hanno detto di andarsene che lì, in quella zona, gli “amici” non li vogliono. Messaggi chiari e manifestazioni di forza che possono avere alle spalle soltanto la camorra. Scelgono gli affari i clan e non le faide. E anche quando ci sono scontri più o meno sanguinosi ed efferati, la ‘crisi’ rientra rapidamente (come è accaduto in varie zone quest’anno) perché il primo interesse è quello relativo ai business. Il primo di questi sono proprio le elezioni. Perché un clan che porta voti poi passa all’incasso quando ci sono appalti da assegnare. Di qualunque genere. La zona in cui sono state registrate queste ‘visite’ (non è escluso che il fenomeno si possa essere manifestato anche in altre zone) è controllata dal clan Contini, gruppo ormai trainante dell’Alleanza di Secondigliano.

E soprattutto gruppo non nuovo a questo genere di situazioni. Cinquanta euro a preferenza. Era il prezzo che il clan Contini avrebbe fissato per ogni voto nel corso della tornata elettorale del 2015. Era un’ipotesi accusatoria riportata tra le centinaia di pagine del provvedimento che colpì ras e gregari dell’Alleanza di Secondigliano nel 2019, in particolare del gruppo Contini del Vasto. Il 31 maggio 2015 in concomitanza con le elezioni regionali campane si svolsero anche le comunali a Casalnuovo; tra i candidati consiglieri comunali, in un partito che faceva parte della coalizione che sosteneva la rielezione a sindaco di Antonio Peluso (non coinvolto nell’indagine), c’era un consigliere uscente eletto nel 2010 in una lista civica che aveva sostenuto la maggioranza del primo cittadino uscente.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti ottenne 280 voti, risultando il secondo candidato più votato del suo partito. Il candidato sindaco Peluso ottenne il 48,62% dei voti per cui si andò al ballottaggio con l’altro candidato, Massimo Pelliccia, il successivo giugno. Il gip scrive: “E’ così che il pm parte nell’esporre le emergenze secondo cui la candidatura (del consigliere ndr)” sarebbe “stata sostenuta anche dal clan Contini attraverso la mediazione di un elemento di primo piano del clan” tra gli indagati del provvedimento. “Il consigliere – sostiene il pm – ha ottenuto i voti dal sodalizio malavitoso dietro il pagamento di circa 50 euro a preferenza. Gli elementi posti a fondamento della tesi accusatoria provengono dagli esiti delle intercettazioni disposte nei riguardi dell’utenza cellulare in uso all’esponente continiano che risulta infatti risiedere nel Comune di Casalnuovo, motivazione per cui il consigliere si rivolge proprio a lui”. Ipotesi investigative, naturalmente, ritenendosi per il soggetto in questione la presunzione di innocenza.

“Nonostante l’impegno profuso” il candidato non ottenne l’elezione a consigliere comunale e il candidato sindaco non venne eletto. “Del cattivo esito del ballottaggio elettorale – si legge nel provvedimento – l’aspirante consigliere faceva riferimento nel corso della telefonata intercettata alle 20.59 del 16 giugno 2015”. “Esprimeva tutto il suo rammarico” al referente del clan “che chiedeva all’esponente politico quanti voti avesse preso l’avversario candidato sindaco nella zona evidentemente controllata dal clan – scrive il gip Roberto D’Auria nell’ordinanza – E’ chiaro, sulla base delle frasi pronunciate, che l’unico interesse del clan era quello di garantire, attraverso una vera e propria compravendita di voti, un consistente numero di preferenze grazie ai quali poter avere, in seguito, un potere contrattuale”.

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