Le tracce date da Nicola Schiavone per ricostruire l’impero del padre. Portato alla luce masserie e terreni da centinaia di migliaia di euro

436
Nicola Schiavone e Carmine Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Nicola Schiavone: è stato lui ad avere un ruolo decisivo nell’operazione che sta svelando l’origine e i retroscena dell’impero agricolo costruito dal boss Francesco Schiavone Sandokan. Per anni indicato come erede designato alla guida del clan, dal 2018 sta collaborando con la giustizia, spezzando così ogni suo legame con la mafia dell’Agro aversano. Proprio le sue parole, incrociate con le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno consentito di ricostruire parte del tesoro che il boss dei Casalesi aveva investito in terreni a Grazzanise, a ridosso dell’aeroporto militare. Nei verbali depositati ai magistrati, Nicola Schiavone ha raccontato di investimenti mascherati da intestazioni fittizie. Fondamentale, in questa rete, sarebbe stata la famiglia De Angelis: “Erano persone di cui potevamo disporre per qualsiasi esigenza – ha spiegato –. Tra noi c’era un rapporto di cordialità che risaliva ai nostri genitori. Amedeo, in particolare, frequentava assiduamente i nostri circoli, era un incallito giocatore di carte e spesso riceveva anticipi di denaro per il gioco o aiuti per restituire prestiti”.

Secondo l’ex boss, i De Angelis erano meri prestanome: “Ogni anno mio padre, prima, e Amedeo con il fratello, poi, mi chiedevano le
somme necessarie per pagare le tasse sui terreni. Io avvisavo mia madre, che provvedeva tramite Gennaro Mastrominico o Antonio
Schiavone detto ‘il rosso’, ma talvolta consegnavo io stesso il denaro”. La gestione dei terreni non era solo una questione contabile. “Nel 2007-2008 – ha ricordato Nicola – il fratello di Amedeo insisteva perché formalizzassi il passaggio di proprietà. Io non lo feci: non era il momento opportuno. Ma quei terreni, seppure formalmente intestati ad Armando De Angelis e poi passati al figlio Amedeo, sono sempre stati di mio padre Francesco”.

Non si tratta di un ricordo isolato. A confermare la riconducibilità dei terreni agli Schiavone ci sono anche vecchie testimonianze. Già nel 1999, Carmine Schiavone, cugino del capoclan e collaboratore di giustizia (scomparso nel 2015), teste in un processo, aveva raccontato come Sandokan avesse costruito un’azienda agricola sui terreni del padre e ne avesse acquistati altri da un certo Scalzone e dai De Angelis.

“Non so se riuscirono a intestarli – dichiarò allora – perché avevano solo una scrittura privata. Ma erano terreni a Grazzanise, vicino all’aeroporto militare Nono Stormo Francesco Baracca, sulla strada che noi chiamavamo del ciummariello”. Le dichiarazioni rese da Nicola Schiavone, ribadite anche in interrogatori più recenti, hanno permesso di individuare un patrimonio costruito negli anni Novanta, quando Sandokan decise di investire i soldi sporchi del clan in fondi agricoli, schermandoli dietro intestazioni di comodo per evitare sequestri. Nicola ha raccontato anche come la sua famiglia si occupasse direttamente della coltivazione delle aree, segno che la disponibilità effettiva non era mai venuta meno.

Oggi quelle rivelazioni rappresentano una base solida per i sequestri in corso. La Dda di Napoli e i carabinieri hanno acceso i riflettori su un tesoro che per anni era rimasto nell’ombra, custodito da prestanome ma sempre nella disponibilità della famiglia Schiavone. Un patrimonio che, secondo gli investigatori, ha un valore complessivo di centinaia di migliaia di euro e che lo Stato punta a sottrarre definitivamente alla camorra. Così, dalle parole di chi un tempo avrebbe dovuto raccogliere il testimone del clan, emerge la verità su terreni, masserie e aziende: beni che erano simbolo di potere e ricchezza mafiosa e che oggi rischiano di trasformarsi in risorse da restituire alla collettività.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome