BERLINO – E’ in un lussuoso hotel sulla Friedrichstrasse, a pochi passi da simboli berlinesi come la Porta di Brandeburgo e Checkpoint Charlie, che la squadra Conte-Di Maio si riunisce e finalmente si confronta. Per entrambi sono state giornate intensissime, non solo sul fronte internazionale: premier e ministro degli Esteri trovano il tempo di scambiarsi poche parole davanti ad un caffé a metà giornata, tra un bilaterale e l’altro, poco prima dell’inizio della conferenza.
Di Maio, capo pentastellato e titolare della Farnesina, ha passato la mattinata ascoltando le posizioni dei suoi colleghi di Turchia ed Egitto, che si vorrebbero spartire le zone di influenza della Libia futura. Conte, invece, ha appena parlato con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e con l’inviato del Palazzo di Vetro Ghassan Salamé, che da mesi tentano disperatamente di pacificare il Paese.
Premier e ministro, che in passato si sono ritrovati divisi su alcuni fronti, a Berlino mostrano compattezza e parlano fitto mentre diplomatici e consiglieri compulsano i cellulari in attesa di notizie dal terreno: la tregua regge davvero? Haftar continua a tirare la corda per esasperare Al-Serraj? Palazzo Chigi, negli ultimi giorni, ha ospitato entrambi i leader.
Il premier Conte, davanti alle insistenze dei giornalisti nel foyer dell’hotel, lancia l’ennesimo appello alla moderazione. Al-Serraj, gli chiedono, dovrebbe fare un passo indietro? “Non chiediamo a nessuno degli attori di fare un passo indietro – è la risposta -, ma chiediamo a tutti gli attori di fare passi avanti verso questo processo di stabilizzazione e pacificazione”.
L’affermazione, letta come rivolta a Tripoli, sembra chiedere un approcio meno rigido, aperto a qualche concessione verso l’avversario Khalifa Haftar. Rivolto invece a quest’ultimo, almeno col pensiero, il premier sottolinea che l’opzione militare non potrà mai portare ad una soluzione definitiva.
Le stesse parole vengono ripetute da Conte, poco più tardi, in un incontro bilaterale con il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, cui l’Italia chiede maggior impegno nello scacchiere nordafricano che, forse, la Casa Bianca ha volutamente trascurato dopo la tragedia dei diplomatici americani colpiti a Bengasi nel 2012. Ma ora, dice il premier a Conferenza conclusa, “c’è attenzione da parte americana a coordinarsi con noi”.
Il capo della Farnesina, da parte sua, è tornato sull’ipotesi di una missione di monitoraggio per fare rispettare l’embargo. Non più così vicina, vista la situazione sul terreno. Anzi, ora ci si concentrerà sulle prossime riunioni, i ‘follow up’. L’Italia, sottolinea Di Maio, è pronta a ospitare questi incontri che saranno cruciali per il futuro della Libia e disponibile, chiosa il premier, a una collaborazione nel monitoraggio della tregua, ma l’impegno di tutti, comunità internazionale compresa, è di “evitare ingerenze”.
Matteo Bosco Bortolaso (LaPresse)