L’intervista. D’Anna: “Che vergogna, partiti come ditte a conduzione familiare”

La disamina politica dell’ex parlamentare che osò sfidare il cerchio magico: Berlusconi pensa solo a sè

NAPOLI – Candidature blindate, nipoti e “figli di” piazzati in collegi sicuri, con la Campania sempre più terra di conquista a discapito della classe politica locale, espropriata e messa in un angolo. “Serve una rivoluzione delle coscienze per riprendersi la scena che conta”.
Ne è convinto Vincenzo D’Anna (nella foto a destra), ex parlamentare (è stato prima deputato, poi senatore) ed attuale presidente dell’Ordine nazionale dei Biologi. L’esponente politico di Terra di Lavoro è uno degli osservatori più attenti delle vicende di casa nostra. La partita del voto, in particolare, lo sta annoverando tra gli “spettatori” più critici, anche per il modo in cui la stanno affrontando i partiti, ridotti, ormai, al rango di “ditte a conduzione familiare”.

Presidente, il 25 settembre si andrà alle urne: era proprio necessario mandare a casa Draghi prima del tempo?

La crisi del governo, la caduta dell’esecutivo di unità nazionale, può annoverarsi, a mio giudizio, tra gli atti che maggiormente hanno danneggiato la politica in Italia, non solo nell’attualità, ma anche nel medio e lungo periodo. Bruciare, per convenienze politico-elettorali, la figura di un uomo come l’ex governatore della Bce che, è bene ricordarlo, ci ha fatto riguadagnare prestigio e fiducia presso tutti i governi e le organizzazioni economico finanziarie della comunità europea, rappresenta la dissipazione delle molte opportunità che pure si erano venute a creare grazie all’autorevolezza di Draghi. Nel medio-lungo periodo basterà pensare che l’attuale premier sarà sostituito, verosimilmente, da personalità politiche che non gli arrivano alle ginocchia. Il che può dare il senso compiuto di quali e quanti saranno i guasti e le difficoltà che l’accantonamento di Draghi potrà portare al governo ed all’economia del nostro Paese…

Insomma, si prospetta un futuro non proprio roseo. E’ pessimista circa un cambio di rotta nella gestione della cosa pubblica?

Sì, molto. Ho votato ben cinque governi con dietro varie formule politiche ed a ciascun presidente del Consiglio, nella mia dichiarazione di voto (quasi sempre negativa ad accordare la fiducia), ho chiesto a quelle modello socio-economico intendesse ispirare la propria azione. Ebbene: nessuno ha mai voluto (o saputo) rispondermi. In effetti il deterioramento della politica nasce dall’immutabilità dell’azione di governo, ancorché questa si presenti con formule politiche differenti. Una contraddizione paradossale, che fa giustizia dei distinguo elettorali, che sono specchietti per le allodole. Destra, sinistra, centro non ispirano niente di diverso in chi siede a palazzo Chigi. Il modello resta lo stesso: governare con la leva della spesa pubblica a debito crescente, con il consociativismo sindacale e l’assistenzialismo clientelare. Il debito aumenta e con esso si rende eterna la crisi economica.

Proviamo ad anticipare lo scrutinio: come crede che andrà a finire?

Al di là di quello che dicono i sondaggi che tutti quanti possiamo leggere in questi giorni, personalmente credo che le elezioni, alla fine, verranno decise dal sentimento comune che animerà gli elettori, giusto o sbagliato che questo sia. Il tutto, quindi, dipenderà dall’onda emotiva che nell’ultima settimana coinvolgerà quanti sceglieranno di recarsi alle urne.

Le piace il Rosatellum?

No, affatto. Lo trovo un meccanismo elettorale cervellotico, tipicamente italiano, nel quale si tenta una difficile sintesi tra maggioritario e proporzionale. Insomma: il classico colpo alla botte ed uno al cerchio per realizzare tutte le alchimie politiche possibili. E’ una legge contorta, confusa, che rischia di portare l’Italia ad una crisi di sistema ovvero alla condizione che, pur con ripetute elezioni, non si riuscirà mai ad avere maggioranze parlamentari coese ed omogenee nonché un’ampiezza di numeri e di consensi nelle Camere. A questo ci aggiunga la sciagurata decisione del taglio delle poltrone che diminuisce, in buona sostanza, la rappresentanza del popolo in Parlamento (e che non inficia minimamente sui risparmi e sulla limitazione dei privilegi della cosiddetta ‘casta’ essendo, il risparmio che se ricava, una goccia d’acqua nel mare del debito pubblico) e il quadro è fatto.

Ha visto la mappa delle candidature? Come valuta le scelte dei partiti?

L’impressione che se ne ricava è che la riduzione dei seggi abbia ulteriormente incarognito il meccanismo decisionale dei partiti nella scelta delle candidature. La verità? Su questa tornata elettorale potremmo affiggere il cartello: ‘tengo famiglia’…

In che senso?

In buona sostanza, alla riduzione dei gruppi parlamentari si è fatto fronte con la scelta dei più fidati e, quel che è ancora peggio, dei familiari e degli affini ai proprietari della ditta partito: figli, mogli, cognati. Un ulteriore elemento di dequalificazione della politica e di privatizzazione e personalizzzazione della medesima…

Scendiamo più nello specifico. Un liberale come Marcello Pera, di cui lei è sempre stato un grande estimatore, candidato con Fratelli d’Italia: la sorprende questa scelta?

Per la verità sì. Pur mantenendo tutta la stima e la considerazione nei confronti del professor Pera, reputo che lo abbiano tratto in inganno sfruttando la ben nota bontà e signorilità della persona. La polpetta avvelenata si chiama: partito dei conservatori, ovvero la creazione di un movimento di stampo liberale di massa che dovrebbe, anche sotto la sua illuminata guida, trasformare l’attuale centrodestra, in un movimento che raccolga il voto moderato e quello che si ispira ai principi del liberalismo in politica e del libero mercato di concorrenza in economia. Lo stesso si potrebbe dire per Giulio Tremonti anch’egli irretito ed allettato innanzi alla descritta prospettiva del partito conservatore.

Ai moderati, però, guarda anche il Terzo Polo di Renzi e Calenda…

Il Terzo Polo dovrebbe essere il sale ed il lievito perché il sistema politico italiano evolva nel bipartitismo perfetto, ma ciò richiede una serie di condizioni che prescindano dalle piccole tattiche e furbizie elettorali. L’intuizione di Carlo Calenda e, per stato di necessità, di Matteo Renzi, può rappresentare un’opportunità affinché i liberali ed i moderati si rechino al voto. Almeno quella parte di persone a cui non piace né la destra rappresentata da Meloni e Salvini, né la sinistra di Letta che fa accordi con i vetero comunisti come Fratoianni e Bonelli.
Marta Fascina, compagna di Berlusconi, “blindata” in Campania e tutto lo stato maggiore di Forza Italia… fatto fuori. Come se lo spiega?
Potrei maramaldeggiare richiamando le battaglie che ho condotto in passato, insieme a tanti altri amici come Raffaele Fitto e Denis Verdini allorquando uscimmo da Forza Italia perché indisponibili ad eseguire gli ordini delle ‘maîtresse à penser’, ovvero di quel cerchio magico che operava per nome e per conto di Silvio Berlusconi, trasformando il partito liberale di massa in qualcosa che di politica non aveva alcunché. Coloro che oggi sono stati spazzati via, in quel tempo furono ciechi e sordi di fronte a questo anelito di ribellione, guadagnandone, nell’immediatezza, la conferma del seggio parlamentare, illudendosi di essere nelle grazie di un uomo, il Cavaliere, che non conosce la parola riconoscenza ma che vive alla giornata concentrato sulle opportunità ed i propri vasti interessi ecomnomici. Quindi chi è cagion del proprio mal, pianga se stesso…

Possiamo dire che la Campania è sempre più terra di conquista? Perché tutti questi big nazionali calati (e candidati) dall’alto nei collegi della Terra Felix?

Per quanto riguarda la nostra regione, l’occupazione manu militare dei collegi più sicuri è una caratteristica trasversale che connota un po’ l’agire di tutte le forze politiche in campo. A cominciare dal Pd che blinda Franceschini e Speranza nei collegi plurinominali per passare, poi, a Camporini e Rosati per il Terzo Polo fino a Forza Italia con Tajani e Berlusconi. A questo vanno aggiunti i casi di ‘nepotismo’ con le candidature dei figli di De Luca e Zinzi e di tanti altri la cui unica peculiarità è l’affinità e l’intimità dei rapprti personali che questi hanno con i proprietari delle cosiddette ‘ditte partito’. Insomma, il dato della fidelizzazione e del ‘familismo’ ha preso il sopravvento su ogni altra considerazione e ricerca della qualità.

Di cosa c’è bisogno e come può la politica campana riprendersi quella scena di cui, negli anni scorsi, è stata protagonista assoluta?

La questione ha una dimensione nazionale. Occorre ripartire, nel medio-lungo periodo, con scuole di formazione politica (una di queste sorgerà a Caserta e me ne interesserò personalmente, insieme ad altri volenterosi amici); serve poi la modifica del sistema elettorale in senso maggioritario. Infine c’è bisogno di una rivoluzione delle coscienze affinché la gente comprenda che la politica ogni giorno mette le mani nelle nostre vite condizionandone e determinandone la qualità. So bene che questo è un viatico che difficilmente si realizzerà e se non lo potrà essere per via spontanea, bisognerà, purtroppo, attendere qualche elemento straordinario che spinga le persone ad agire direttamente. Ecco perché la crisi di sistema può avviarci ad una fase ‘rivoluzionaria’ nel senso che la gente si renda conto che andare a votare non basta. Ma occorre che le migliori intelligenze, le coscienze, gli intelleti si prestino all’agire politico come indifferibile dovere civico.

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