L’intervista. Scarpati torna in teatro: “Portiamo in scena un classico”

Foto Mario Cartelli/LaPresse 15/09/2014 Roma - Italia spettacolo Pink carpet della seconda serata del Roma Fiction Fest 2014 con i cast delle fiction " Il candidato " e " Narcotici " e i candidati al premio Bixio. Auditorium Parco della Musica Roma - Italia. Nella foto: Giulio Scarpati.

CASERTA – Giulio Scarpati è tra i migliori attori in assoluto del panorama artistico nazionale. Esordisce giovanissimo in teatro e, qualche anno dopo, al cinema. “Ero piccolo avevo appena 12 anni – spiega – e una vicina di casa che faceva l’attrice chiese ai miei genitori se potevo partecipare ad uno spettacolo teatrale. Da quel momento nacque il mio interesse per il teatro tanto da partecipare solo qualche anno più tardi ad una scuola di recitazione. Presi parte alla mia prima e vera commedia entrando nella cooperativa il ‘Gruppo G’. Erano gli anni ‘70, anni in cui ci si dedicava a Goldoni, Diderot e altri autori. Quello era un periodo in cui si faceva drammatizzazione anche in luoghi diversi come ad esempio gli ospedali psichiatrici. L’idea era quella di portare il teatro dove non sarebbe stato facile in quanto si credeva fermamente nella suo valore terapeutico”.

Il suo vero esordio sui palcoscenici dei teatri e nel cinema?

Il primo risale all’81 con la compagnia del Teatro stabile di L’Aquila. L’opera era ‘Il Candelaio’ di Giordano Bruno con la regia di Aldo Trionfo. Poi a seguire con la compagnia ‘Gli Ipocriti’ il ‘Lorenzaccio’ di Alfred de Musset, nella versione diretta da Maurizio Scaparro. Mentre per quanto riguarda il cinema, il mio esordio risale all’84 in un film particolare girato in Italia ai confini con l’Austria: è lì che è cominciata la mia vera avventura cinematografica. Nell’89 poi, ho girato una pellicola a cui sono rimasto molto affezionato sugli anni del terrorismo in Italia.

E allora, qual è il suo vero amore?

Il teatro ti dà l’emozione diretta con il pubblico, è impagabile ciò che riesce a comunicare anche a livello di percezione, ossia di quanto il pubblico sia attento a seguirti nel racconto. Mentre il cinema è una grande avventura fissata sulla pellicola che permette di rivedersi sul piccolo e grande schermo. Sono sensazioni differenti. Inoltre ti permette di raggiungere una popolarità amplificata regalandoti quella conoscenza che poi ti permette di fare scelte anche difficili in teatro. Come quando ho recitato ‘L’Idiota’ di Dostoevskij. Teatro, cinema e tv dunque hanno caratteristiche diverse ma lo spettacolo dal vivo a teatro resta il più pregnante. Comunque si tratta di esperienze formative che un attore deve fare.

E il teatro odierno come è visto da un attore come lei?

Mi pare che ci siano teatri sempre pieni. E l’aspetto più importante secondo me è quello di far avvicinare i giovani a quest’arte che spesso viene identificata come noiosa e troppo intellettuale. Il teatro ha sempre meno spazio nei media e sulla carta stampata, nelle pagine di cultura e spettacoli. Per fortuna ci sono giornali come il vostro che trattano l’argomento e informano il pubblico su un dato evento teatrale spiegando se si tratta di un classico e se viene messa in scena una rilettura. O, ancora, le motivazioni per le quali è stato scelto quel testo anzichè un altro. Elementi che aiutano lo spettatore ad orientarsi e a capire se quel tipo di tematica è di suo interesse oppure no.

I suoi personaggi sono sempre  sui generis: si va dallo squattrinato all’ex partigiano al commissario Rosario Livatino assassinato dalla mafia nel 1990.

Interpretare il commissario Livatino mi ha dato una grande soddisfazione personale oltre che umana. Un incontro importante perché racconta la vita di un magistrato realmente esistito. Hai così la responsabilità di riproporre attraverso la finzione una storia vera. Ancora oggi, quando torno in Sicilia provo grande emozione: è lì che il film è stato interamente girato. Perfino sulla tratta di strada dove Livatino fu ucciso e dove oggi esiste una stele in sua memoria. Era il 1993 pochi anni dopo la sua morte.

Grazie a quella interpretazione  ha ottenuto il David di Donatello.

Sì. E’ un film che, ripeto, ricordo con grande amore e grande passione, in maniera molto coinvolgente: un cimento propormi in quel giovane giudice siciliano con caratteristiche molto molto particolari.

Poi ancora una parte collegata alla giustizia in “Pasolini, un delitto italiano” del 1995 di Marco Tullio Giordana, in cui ha interpretato l’avvocato Nino Marazzita impegnato nella ricostruzione del processo a Pino Pelosi per l’omicidio dello scrittore.

Un personaggio che rimarca la mia filmografia in cui si sono alternate commedie e film di impegno civile come quello diretto da Marco Tullio Giordana che ha ricostruito in maniera perfetta, come sempre, tutti i momenti dell’omicidio di Pasolini e quanto fatto dalla giustizia per la scoperta del colpevole. E interpretare Marazzita, difensore dell’autore, mi ha davvero coinvolto. Pasolini è stato molto amato dalla mia generazione in quanto persona originale, fuori dal coro, mai banale nelle sue considerazioni.

In “Voi italiani”, ambientato nell’Italia in cui i meridionali migravano verso il nord Italia con la classica valigia di cartone, ha interpretato il ferroviere Ulisse.

Sì, anche quello è un film a cui sono legato e che mette in luce l’avanzare del tempo. Con quel giovane che ha cominciato a lavorare su un treno con grande entusiasmo per poi ritrovarsi dopo vent’anni, invecchiato, demotivato, disilluso ed estremamente cambiato. C’è un pezzo del film molto bello in cui i due treni si incrociano ed io, nelle vesti di Ulisse, affacciandomi al finestrino vedo il viso invecchiato e trasformato dal tempo.

Come mai ha deciso di riprendere la fiction “Un medico in famiglia” dopo averla lasciata?

Nella fiction affronto un tema importante, la paternità. “Un Medico in famiglia” è una fiction che ha saputo dire molto ed ogni volta trovi nuovi motivi di racconto. Lele Martini, medico dell’Asl, il personaggio che interpreto, è un uomo con sei figli dai 4 ai 30 anni. Per questo si trova ad affrontare le problematiche più disparate legate alle diverse fasce d’età dei ragazzi, in una famiglia incasinata ma sempre accogliente.

Mi racconti del suo incontro col regista Pupi Avati.

Nel suo film siamo andati alla ricerca di un personaggio particolare, quello di un padre che non capisce e non accetta la propria figlia e i sacrifici che giornalmente è costretta a fare. E’ stato un incontro con un regista di grande esperienza capace di raccontare i personaggi con singolare umanità.

In queste ore è a Caserta al Teatro Parravano con ‘Il Misantropo’ di Moliere.

Sì, siamo qui con la stessa Compagnia con cui abbiamo intrepretato “La giornata particolare” tratto l’anno scorso dal film di Ettore Scola con la partecipazione di Marina Solarino e la regia di Nora Venturini. Abbiamo riproposto questo classico in maniera diversa, del tutto attuale, con la storia di questo personaggio in totale disaccordo con i vizi del secolo, le falsità e l’ipocrisia degli uomini. Una persona assoluta, fustigatore dei vizi e dei comportamenti non sinceri della gente, ma che si innamora, guarda caso, di una donna prototipo della cortigiana inserita a corte. Ma la cosa bella è che tutto questo ha una regia che può essere riletta in chiave moderna. La nostra squadra è  composta da otto persone e vede diversi attori giovani.

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