Ascolta il podcast di Onda Media – “Lo sciagurato Egidio: poveri presidenti e ricchi calciatori“
All’inizio fu una meraviglia, quasi una leggenda metropolitana, era il 1993, e pochi fortunati conoscevano un manipolo di persone abbonate a Tele+, la oramai mitica Pray tv che iniziò a trasmettere, rigorosamente criptati, i posticipi del campionato di calcio di serie A. Erano trasmissioni quasi carbonare, una sorta di club elitario al quale potevano partecipare solo quei pochi disposti o in grado di pagare un abbonamento.
La notizia si sparse, tutti volevano assistere al miracolo, vedere finalmente sul proprio schermo le immagini di un mondo raccontato “solo” attraverso le radiocronache. I passaggi furono rapidi, nel corso di un quinquennio Tele+ divenne un punto di riferimento per gli appassionati di calcio italiani, chi non poteva andava a vedere la partita da un amico, o si radunava davanti ai bar abbonati.
Era un’Italia ancora analogica, Internet era nelle mani di pochi ricercatori, delle università, delle agenzie di stampa o poco più, il resto del paese ancora utilizzava la carta stampata, la radio e i telegiornali per ricevere informazioni e opinioni. Poi nel 1998 arrivò Stream, una nuova piattaforma a pagamento, che proponeva film di prima visione, e calcio, in aperta concorrenza a Tele+.
Fu un ulteriore passo in avanti, venne introdotta la diretta multicanale, una sorta di “Tutto il calcio minuto per minuto”, in formato video, roba fantascientifica per l’epoca. In quel periodo chi non poteva permettersi l’abbonamento, ricorreva a “schede pirata”, la madre dell’attuale “pezzotto” per vedere gratis e comodamente a caso tutta l’offerta tv. Roba preistorica, che fa quasi tenerezza rispetto ai fatturati illegali che oggi produce l’IPTV illegale.
Il passaggio epocale arrivò nel 2003, quando Sky Italia fece un solo boccone di Tele+ e di Stream, lanciando in Italia la prima vera offerta matura e il primo vero modello di Pay Tv rivolto alla famiglia. Era un’offerta ragionata, rivolta a un target medio alto, nel quale al centro era posta la famiglia medio borghese, che vedeva nell’abbonamento uno status sociale e una fonte di intrattenimento evoluto da consumare.
Oggi siamo in una situazione completamente diversa, la famiglia italiana si è trasformata, i nuclei sono disintegrati e volatili, le vecchie Pay Tv hanno subito l’affondo degli OTT (Netfix, Amazon), lo streaming ha sostituito la trasmissione lineare (in diretta), i telefonini e la loro visione verticale hanno introdotto una nuova grammatica di produzione e di fruizione dei contenuti.
Il calcio da fenomeno sociale trasversale, sta inesorabilmente tornando appannaggio dei soli tifosi e di quella porzione di società che ha in esso l’unico elemento di svago e di socializzazione. Un mondo impoverito, che fatica a reggere il suo stesso peso economico, ricchi calciatori pagati a rate da società indebitate.
Nel frattempo è venuto meno l’elemento epico capace di rendere trasversale il racconto sportivo, assistiamo a una compravendita di diritti sportivi, calciatori, e squadre, sempre più simile a una fiera. Il racconto radiofonico e televisivo si è adeguato proponendo modelli distanti anni luce dai commenti di Gianni Brera, dall’eleganza di Paolo Valenti, e dagli esperimenti bellissimi di trasmissioni come “Lo sciagurato Egidio” di Giorgio Porrà, nella quale veniva proposto un modello di comunicazione che univa letteratura e sport una formula mai banale.