Milano, 17 apr. (LaPresse) – “La violenza domestica non si combatte con la burocrazia, anzi, la burocrazia può legare le mani a chi da tanti anni accoglie e si occupa delle donne maltrattate”. Così la consigliera lombarda del Pd, Paola Bocci, spiega il senso della lettera che con le colleghe e i colleghi del gruppo consiliare regionale del Partito democratico ha inviato alla neo assessora alla Famiglia, Silvia Piani, per richiamare la necessità di riaprire il confronto con i Centri antiviolenza e le Case rifugio.
“Per gli effetti di un decreto dirigenziale regionale dello scorso autunno queste realtà devono, per poter ottenere contributi dall’ente pubblico, ‘tracciare’ il percorso delle donne vittima di violenza che si rivolgono ai centri. Non solo – si legge in una nota del gruppo dem al Pirellone – viene chiesto alle operatrici di registrarne il codice fiscale, nonostante questo contrasti con una pratica consolidata da anni di esperienza che mira a tutelare l’anonimato delle donne soccorse, al fine di stabilire un rapporto di fiducia propedeutico al percorso di recupero. Come se non bastasse, ai Centri antiviolenza viene chiesto di stare aperti 24 ore su 24, ma senza dare loro risorse sufficienti a tenere in piedi il servizio”.
“Chiediamo di rivedere le decisioni prese dalla Giunta Maroni – spiega Bocci, prima firmataria insieme al collega Matteo Piloni – e di convocare al più presto un tavolo con le referenti della Rete lombarda dei Centri antiviolenza e Case rifugio. La Regione deve riaprire un confronto e consentire loro di operare al meglio. Il monitoraggio va fatto ma nel rispetto di un modus operandi che si è affermato in tre decenni di attività. E poi, certamente, c’è un problema di risorse che va affrontato. La riapertura del dialogo è necessaria e urgente”, conclude la consigliera del Pd al Pirellone.