NAPOLI – “Sai, ti stavo pensando. Spero di vero cuore che al più presto uscirò, così ti faccio saltare in aria. Ora lo dico a tutti, che se qualcuno esce prima di me ti deve sparare 10 colpi tutti in bocca, a te e a tutta la tua razza di merda”: queste le parole rivolte da Giovanni Cellurale, ergastolano del clan dei Casalesi, al nostro direttore responsabile Maria Bertone, attraverso una lettera spedita dal carcere di Palermo dove è detenuto. Minacce di morte per le quali il pm della Direzione distrettuale Antimafia Fabrizio Vanorio ha chiesto il rinvio a giudizio del 50enne di Aversa, bidognettiano della fazione dei Caterino di Cesa, ritenuto colpevole anche di omicidio: l’udienza preliminare davanti al giudice Chiara Bardi del tribunale di Napoli è stata fissata per il prossimo 29 marzo. In quella sede ci costituiremo parte civile.
La lettera di minacce è giunta qualche tempo fa via posta presso la nostra redazione di Marcianise. All’interno di una busta bianca tre fogli manoscritti pieni di parole violente all’indirizzo del direttore, reo, secondo Cellurale, di non aver pubblicato una sua precedente missiva spedita dal carcere di Trapani. “Ora sono detenuto al Pagliarelli di Palermo. Qui si dice: “Mi suchi a minchia! Ah Ah Ah. – scrive tra le altre cose il ‘galantuomo’ – Spero che ora la pubblichi questa sul tuo giornale di merda. Ti giuro che il giorno che uscirò ti vengo a sparare in bocca”. Missiva mai arrivata, in realtà, come comunicato ai carabinieri della stazione di Marcianise ai quali il direttore si è rivolta per denunciare l’accaduto. Grazie a loro si è immediatamente messa in moto la macchina della protezione, si è riunito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ed è stata attivata la sorveglianza saltuaria presso il domicilio e il luogo di lavoro.
“Ringrazio le forze dell’ordine che mai mi hanno fatto mancare la loro presenza – commenta il direttore Bertone – Il passaggio dell’auto, che sia civetta o d’ordinanza, è assiduo e ci fa sentire protetti. Parlo al plurale perché è chiaro che le minacce di Cellurale non sono solo rivolte a me, ma a tutti i colleghi di Cronache che io mi onoro di rappresentare e con cui lavoro fianco a fianco, per tante ore al giorno, da 14 anni. Sono i rischi del mestiere, specie quando lo si fa come lo facciamo noi, presenti sui territori e nei fatti in maniera approfondita e capillare. Purtroppo nelle realtà come quelle che raccontiamo quotidianamente facciamo i conti da sempre col tentativo di qualcuno di zittirci, che si tratti di camorristi, di colletti bianchi o di semplici teste calde. Ricordo quando, giovane cronista all’opera da pochi mesi, ricevetti nella cassetta delle lettere di casa una missiva realizzata con lettere ritagliate dal giornale. Fui ‘invitata’ a non scrivere più delle ‘turbolenze’ nella gestione del servizio rifiuti del mio paese: non mi sono fermata allora, non lo farò adesso”.
Parole condivise da tutti noi colleghi di Cronache di Caserta e di Napoli, che abbiamo scelto di informare restando qui, a distanza ravvicinata dalle nostre realtà, con tutti i rischi che questo comporta, perché come i giornalisti impegnati in Ucraina crediamo nel valore inestimabile dell’informazione soprattutto là dove la violenza dilaga, privando della libertà, della sicurezza e della dignità milioni di persone. La nostra terra non appartiene a questi personaggi, ma a chi crede nel suo riscatto e nella capacità della sua gente di costruire un futuro di pace e di rispetto reciproco. La Campania è una regione italiana, dove vigono le leggi italiane e non quella della giungla. Leggi scritte con la partecipazione democratica e non con il piombo. Non possiamo fare nemmeno un passo indietro, non possiamo tacere. Non possiamo permettere che gesti di tale violenza, di tale gravità, diventino la normalità.
Il profilo di Cellurale
Guidava una delle auto del commando che portò a termine l’omicidio di Michele Martinelli avvenuto a Cesa il 12 giugno del 2006. Giovanni Cellurale, 50 anni, detenuto, era un fedelissimo dei Casalesi, gruppo Caterino. A premere il grilletto per quell’omicidio avvenuto nel parcheggio del supermercato Lidl di Cesa fu Lorenzo Ventre. Cellurale era un uomo del clan del boss di Nicola Caterino e proprio con il capoclan fu condannato in Cassazione il 21 novembre del 2017 all’ergastolo per quel delitto di camorra. Affiliato al clan Bidognetti attraverso il gruppo di Cesa che in quel periodo si contrapponeva ai Mazzara, con un altro complice prese posto su una Fiat Punto con compiti di appoggio ad un’altra vettura con a bordo il killer. Fu scelto da Nicola Caterino, anche lui all’ergastolo per il delitto Martinelli, per vendicare la morte di Michele Caterino, fratello del capoclan ucciso sotto casa da un commando dei Mazzara. Fu arrestato il 25 febbraio del 2013 al termine delle indagini sul delitto. Ha perso la libertà, ma non la voglia di minacciare, evidentemente.
Una scia di attentati lunga 27 anni
Ventisette anni di denunce, di coraggio, di verità. Ma anche di intimidazioni, ritorsioni, agguati, attentati, minacce. Chi racconta la verità, restando nella propria terra, mettendoci firma la firma e la faccia, rischia, consapevolmente. E la malavita, da quando nel 1995 il Corriere di Caserta e nel 1998 Cronache di Napoli hanno fatto la loro comparsa in edicola, non ha fatto sconto alcuno. Ha ucciso, per provare a zittirci. Dopo appena 5 mesi dalla pubblicazione del primo numero, la camorra ha ammazzato in modo raccapricciante Enzo Avino, un nostro giornalista. “Ce l’hanno ucciso bruciandolo vivo”, fu l’urlo di dolore lanciato dalla nostra prima pagina. Un omicidio terribile: passarono sul suo corpo, nella periferia di Mondragone, a due passi dallo stadio, con la sua stessa auto, un’Autobianchi A1112, per poi dargli fuoco mentre era ancora vivo. Fu il primo, spaventoso, episodio intimidatorio ai danni della nostra redazione. Nel 1998 è cominciata una vera e propria crociata da parte dei più potenti e sanguinari boss dei Casalesi. Prima, ad agosto, una lettera di Francesco Schiavone, detto Sandokan, a un altro quotidiano locale invitava i cittadini a non comprare il nostro giornale. Poi, a novembre, la telefonata dei due boss Antonio Iovine e Michele Zagaria, già latitanti da tre anni, a un giovane cronista, Carlo Pascarella. Gli intimarono di “smettere di scrivere stronzate”. Lui tenne loro testa, chiedendo loro dove si trovassero. I due capiclan furono assolti, poi, dall’accusa di minacce, ma quella telefonata ha fatto il giro d’Italia, ritrasmessa in tv da diversi programmi Rai (Annozero, Blu Notte, Porta a porta). E non è finita. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1999 a camorra provò ad appiccare un incendio nella redazione in corso Trieste, a Caserta. Gli emissari dei boss gettarono cherosene contro il portone d’ingresso, ma qualcosa andò storto e il tempestivo intervento dei vigili del fuoco riuscì ad evitare che le fiamme si propagassero. Dello stesso periodo la lettera non firmata con il messaggio “sei un uomo morto”, indirizzato a Giancarlo Izzo, allora collaboratore del Corriere di Caserta da Teano e Vairano Patenora. E ancora: a tre giorni da Natale del 2005 le fiamme appiccate dai malavitosi hanno divorato la Fiat 600 della nostra giornalista Debora Carrano. Ancora minacce, ancora paura, ancora solidarietà, ancora articoli coraggiosi. Poi nuove fiamme, il 21 giugno del 2011, alla macchina di un’altra nostra cronista, Tina Palomba. Un mese più tardi un proiettile è stato recapitato a domicilio al corrispondente dell’area Nord Giuseppe Bianco, impegnato a raccontare le vicende di un territorio come Arzano, che da decenni soffre la morsa della camorra. Il lunghissimo elenco di intimidazioni non è finito. Si è ‘arricchito’ di nuovi capitoli neri nel 2015, quando una voce anonima chiese del giornalista Marcello Altamura: “Vi facciamo fare la fine di Charlie Hebdo”, disse la voce dall’altra parte della cornetta. “Veniamo in redazione e vi schiattiamo ’a capa”, disse un’altra voce anonima e vigliacca al telefono il 30 giugno 2016. Ha, invece, un nome e un cognome la voce che si è scagliata contro il nostro ex direttore Domenico Palmiero e contro Tina Palomba, accusati di scrivere tutto ciò che dice Raffaele Cantone, ex magistrato della Dda (non esattamente l’ultimo arrivato, in ogni caso): è quella di Augusto La Torre, boss di Mondragone, che poi ha deciso di rincarare la dose, insultando e minacciando pubblicamente il nostro cronista di giudiziaria Giuseppe Tallino, ‘reo’ di seguire con attenzione e precisione le indagini e i processi che lo riguardano. Un assedio mai finito e che ora arriva a colpire il nostro direttore, Maria Bertone, con le terribili minacce di morte firmate dall’ergastolano Giovanni Cellurale. Tutti questi episodi sono stati denunciati. Sono 25 anni che provano a intimorirci e impedirci di raccontare, a voi lettori, la verità. Giorno dopo giorno. Non ci riusciranno mai.