SAN CIPRIANO D’AVERSA – La Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dall’imprenditore Gaetano Iorio e dai suoi familiari contro la confisca dei beni disposta nell’ambito di un procedimento di prevenzione dalla Corte d’appello di Napoli lo scorso aprile. I beni, tra cui immobili, società e attività imprenditoriali, erano stati sottoposti a misura patrimoniale in quanto ritenuti nella disponibilità dell’uomo d’affari considerato indiziato di appartenenza al clan dei Casalesi.
Il provvedimento, che copre il periodo dal 1988 al 2004, si fonda su una ricostruzione che identifica Iorio come presunta figura centrale del sistema economico mafioso. La confisca coinvolge, oltre ai beni personali dell’imprenditore, anche quelli formalmente intestati alla moglie Clementina Massaro, ai figli Paolo (scomparso nel 2023) e Tullio Iorio, e a Virginia Diana, moglie di Paolo. Tra i beni figurano un capannone industriale, acquistato dalla società Pio Immobiliare di Tullio Iorio tramite un mutuo, e proprietà riconducibili alla società Iorio Costruzioni, descritta come strumento operativo del clan nel settore del calcestruzzo.
I ricorrenti hanno sostenuto che le sentenze penali assolutorie pronunciate in diversi procedimenti contro Gaetano Iorio avrebbero dovuto escludere la possibilità di considerarlo socialmente pericoloso. La difesa ha citato, tra gli altri, il processo “Spartacus 1” e il procedimento “Il Principe”, nei quali Iorio era stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
La Cassazione, tuttavia, ha confermato il principio secondo cui il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che l’assoluzione per reati associativi non preclude l’applicazione delle misure patrimoniali, purché sussistano elementi indiziari sufficienti a dimostrare l’appartenenza, anche indiretta, del proposto al sodalizio mafioso.
La Corte ha evidenziato come l’attività imprenditoriale di Iorio fosse strettamente legata al clan, permettendogli di acquisire una posizione dominante grazie al sostegno dei Casalesi. In particolare, i giudici hanno richiamato dichiarazioni di collaboratori di giustizia e accertamenti compiuti in precedenti sentenze. Nonostante le assoluzioni, Gaetano Iorio è stato descritto come un imprenditore colluso, capace di trarre vantaggi economici dalle attività illecite del clan.
Anche le rivendicazioni dei familiari, che hanno sostenuto la legittimità delle proprie risorse economiche, sono state rigettate. Per i giudici, le giustificazioni sulla provenienza lecita dei fondi per l’acquisto di beni, come il capannone della società Pio Immobiliare, non hanno trovato riscontri convincenti. La richiesta di una nuova perizia contabile è stata anch’essa respinta.
Secondo la Cassazione, le nuove prove presentate dai ricorrenti non sono sufficienti a scardinare le basi su cui poggia il provvedimento di confisca. La Corte d’appello di Napoli aveva già motivato adeguatamente il rigetto delle istanze di revoca, rilevando che le assoluzioni non cancellano i gravi indizi di appartenenza al clan. La decisione della Suprema Corte chiude definitivamente un capitolo giudiziario iniziato anni fa e ribadisce l’efficacia delle misure di prevenzione come strumento di contrasto alla criminalità organizzata.
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